PUBBLICATO DA: Sonzogno editore
VOTO: 7
GIUDIZIO: Devo dire che quella che ho letto è una buona storia, con grandi potenzialità. Questo è il secondo romanzo che leggo di Jennifer Wilde, il primo non l'ho gradito, l'ho trovato noioso e superfluo, ho dovuto ricredermi invece con "i petali del tempo". La storia è ben narrata, si viene catapultati direttamente per le strade della Londra di metà settecento, con tutti gli usi e costumi dell'epoca, bellissima la descrizione dei bassifondi, sembrava di respirarne l'aria. Le pagine da leggere sono tante ma il ritmo scorre velocemente e arrivi a tre quarti della storia senza che neanche te ne rendi conto e questa è una cosa che adoro in un libro, perché diventi un tutt'uno con esso e leggere diventa un piacere assoluto e non un peso, smetti di pensare a tutte le cose che non vanno e ti addentri con gusto in quel mondo creato apposta per noi lettori.
Fin qui avrei dato un otto alla storia ma ciò che mi ha fatto abbassare la media è la descrizione dell'ultima parte ossia quella nella quale lei viene lasciata per vari motivi dall'eroe maschile che diciamocelo, non è proprio il massimo. Le pagine vengono riempite da noiose descrizioni e la storia è priva di qualsiasi interesse fino a quando questo riappare nelle ultime pagine (nel libro passa un arco temporale di tre anni) e cosi come se niente fosse vorrebbe quasi costringerla a lasciare la Gran Bretagna con lui. La conclusione è frettolosa e io sono rimasta di stucco quando ho letto le parole fine, incredula che terminasse tutto in quella maniera cosi scialba.
Un gran peccato perché la maggior parte della storia è stata davvero ma davvero bella.
ESTRATTO DEL LIBRO
"Avanti," lo incitai "di' quello che devi dire."
"Miranda non avresti dovuto immischiarti." dichiarò, calmo.
"E tu non avresti dovuto essere lì. Cam, sei un dannato idiota. Finirai col farti impiccare."
"Non cercare di cambiare argomento."
"Quel tuo cugino... è pazzo. Voleva ammazzarmi. Io pensavo che glielo avresti lasciato fare."
"Forse avrei dovuto." replicò lui.
Brancolai con la mano dietro la schiena e afferrai una spazzola, scaraventandogliela contro con tutte le mie forze. S'abbattè rumorosamente contro lo stipite ad appena qualche centimetro sopra la sua testa. Cam non battè ciglio.
"Non ti lascerai sfuggire neppure una parola di quanto hai sentito." disse.
"Miserabile che non sei altro, non ti permetterò di farti impiccare. Non intendo starmene in silenzio a guardare mentre tu..."
"Non dirai una parola," m'interruppe con voce ferma ma calma. "Fingerai di non aver né visto né sentito niente."
"Un corno che lo farò. Se pensi di..."
"Prenderò i provvedimenti che riterrò necessari," soggiunse. "Dovessi essere costretto a tenerti prigioniera in casa, a legarti, a imbavagliarti. Ma dubito che sarà necessario."
Tutta la rabbia che provavo scemò, e mi sentii debole, inerte, indifesa. Cam si abbassò a raccogliere la spazzola e la ripose sul tavolo. Mentre si muoveva le maniche della camicia svolazzavano vaporose. Per un istante si girò a guardarmi, l'espressione atteggiata a indifferenza.
"Cam è una pazzia, un'autentica pazzia."
"Miranda, non desidero più parlarne."
Si tolse la pistola dalla cinta e l'adagiò sul tavolo, e la canna luccicò al bagliore della candela.
"Tanto vale che m'ammazzi ora," gli dissi con voce tremante. "Tu finirai impiccato, e io... io non potrei vivere senza di te. Se ti succedesse qualcosa, non avrei più ragione di esistere. Io... io ti amo, brutto figlio di puttana e..."
"Taci, Miranda." mi disse pacato.
Mi raggiunse e cercò di prendermi tra le braccia, ma io lo schiaffeggiai duramente sentendo il polso che mi cedeva. Cam trasalì, ma senza cambiare espressione. Avevo il palmo che mi bruciava e il polso dolorante. Sulla sua guancia destra apparve l'impronta rossa delle mie dita. M'attirò a sè e mi coprì la bocca con la sua, e io mi divincolai per qualche istante prima di aggrapparmi a lui, singhiozzando disperatamente. Cam scostò il viso e mi guardò negli occhi. I suoi erano di un azzurro profondo e scintillante. Mi baciò nuovamente, labbra tiepide che carezzavano le mie con una tenerezza sempre più urgente. Mi sentii sollevare da terra e trasportare sul letto, e da quel momento ogni cosa fu perduta, travolta da quell'amore splendido e crudele che era la mia salvezza e la mia estasi, il mio tormento e la mia perdizione.
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