UN NATALE SPECIALE
“Ehi…psss…palla dorata…dico a
te…”.
“Quante volte ti ho chiesto di
non chiamarmi con quello stupido nome…”.
“Quale?...Palla dorata?...”.
“Non fare lo
spiritoso…altrimenti….”.
“Altrimenti cosa?...Ma guardati,
con tutti quei brillantini addosso e disegnini naif…più che una palla
dell’albero di natale mi sembri …mi sembri…”.
“Ah, sentilo lui, il festone
argentato…il re del jetset mondano…ti hanno mai detto che la coda di una
puzzola è più attraente di te? Faresti bene a tapparti la bocca prima di
parlare, visto che è quello che pensano tutti qua dentro…”.
“Vero!”
“Giusto!”
“Dai, fagli vedere chi sei!”
“Brava, palla dorata, cantagliene
quattro, una volta per tutte!”
“Si, sono più di trecento giorni
che lo sopportiamo…ora basta!”
Non ne possiamo più! Basta!
Basta!”
Un coro di proteste si levò dal
fondo dello scatolone di cartone.
Sì, avete capito bene: proprio uno scatolone di cartone, un grande ed
ingombrante scatolone con la scritta COSE DI NATALE posto sul pavimento di una
buia soffitta di un palazzo di una grande città.
A protestare erano tutti i decori di un albero di Natale: palle,
festoni, stelle, candele, luci, oggetti di ogni tipo e forma, quegli stessi
oggetti che voi probabilmente, anzi sicuramente, mettete ogni anno sul vostro
albero di Natale e che ogni anno rivivono dopo essere stati dimenticati in
scatole, scatoloni, cassetti, mobili di cantine, sgabuzzini, soffitte, garage e
chi più ne ha, più ne metta.
Ebbene, non lo sapevate? Questi oggetti hanno un’anima, hanno
sentimenti, parlano, vivono una vita che nessuno immagina…già, è assolutamente
così.
Vivono.
Proprio l’altro giorno, addobbando il mio albero di Natale nel silenzio
della mia casa, ho avuto la netta sensazione
che gli oggetti che stavo estraendo dalla scatola nella quale erano stati
riposti l’anno precedente e quello prima e quello prima ancora, mi stessero
osservando e volessero dirmi qualcosa.
E’ stato davvero un attimo, un piccolo, piccolissimo attimo, ma in
questo brevissimo lasso di tempo mi è sembrato di scorgere sorrisi, ascoltare
bisbiglii sommessi, sentire dei fremiti ogni volta che prendevo in mano
qualcosa, insomma ho quasi avuto la certezza che stesse accadendo un piccolo
miracolo: gli oggetti stavano prendendo vita…
Ci credete se vi dico che ho cominciato a parlare con loro?
Noooo?
E invece è così.
Abbiamo cominciato a parlare, io e loro!
Oh, è stato bellissimo, incredibile, emozionante, e spero che anche
voi, al termine del mio racconto, proviate almeno una parte di quello che ho
provato io!
No, non sono pazzo, non dite cose di cui potreste pentirvi…
Almeno non prima di aver ascoltato la loro storia, quella che mi hanno
raccontato, una mattina di pochi, pochissimi giorni fa…
“Ehi! Ho appena detto di non
voler essere chiamato palla dorata! Intesi?”
Le voci si spensero
immediatamente.
Anche il festone argentato smise
di parlare e si arrotolò a spirale come volesse farsi più piccolo appiattendosi
contro un angolo della scatola.
Palla dorata (lo chiameremo così
anche noi, ma senza farci sentire…) mugugnò ancora qualcosa, poi cambiò
decisamente argomento.
“Fa caldo qui”.
“Dovresti cercare di liberarti di
quella carta bianca con cui ti avvolgono ogni anno. Le palle di plastica non
hanno alcuna carta che le possa coprire e non si lamentano mai…”, disse il filo
di luci colorate che non aveva preso parte al coro di proteste.
“Non so sarebbe una buona
idea..”, bofonchiò palla dorata. “Non mi piace stare nuda in mezzo a una
miriade di oggetti che non fanno altro che guardarsi l’uno con l’altro col solo
scopo di criticare e ridicolizzare l’altro. Preferisco morire di caldo..e poi
quelle sono palle di plastica. Io sono di vetro e c’è una bella differenza..”.
“Ma come ti permetti?”, urlò
piena di risentimento una delle palle gialle di plastica.
“Già, chi ti credi d’essere?”,
aggiunse un’altra tremando dalla rabbia per ciò che aveva sentito. “Siamo palle
anche noi e decoriamo l’albero esattamente come lo decori tu, palla dorata dei
miei stivali!”.
“E dai, ragazze, non volevo mica
offendere! Ma è innegabile che il vetro è diverso dalla plastica…ha bisogno di
maggior protezione, maggiore cura…ma certamente non voglio dire di essere
migliore di voi…”.
“E allora non ti lamentare”,
continuò il filo elettrico.
“Non mi sto lamentando! Sto solo
dicendo che fa caldo! Punto e basta!”.
“Sentite, siamo troppo nervosi!”,
intervenne il babbo natale di pezza. “Dobbiamo cercare di stare tranquilli e
pazientare, come facciamo tutti gli anni. Lo so che è difficile stare chiusi
dentro uno scatolone per quasi un anno in attesa di essere tirati fuori e
respirare aria nuova, vedere la luce, ascoltare le grida dei bambini, bearci
dei sorrisi con cui veniamo guardati da decine se non centinaia di occhi
felici…Però dobbiamo farlo. Questa è la nostra vita, questo il nostro mondo. Lo
sapevate quando vi hanno fabbricato, no? Vi avevano detto che sarebbe stato
così. Dunque cerchiamo di essere più adulti e consapevoli del nostro ruolo.
Piuttosto cerchiamo di ingannare il tempo in maniera più costruttiva e meno
noiosa! A che serve battibeccare sempre
fra noi? Converrete con me che
non porta da nessuna parte e inoltre inasprisce i nostri rapporti. Dunque,
attendiamo con fiducia il giorno in cui saremo liberati da questa collocazione
non proprio, ehm…felice e prepariamoci all’evento con speranza e allegria, come
si conviene a degli addobbi di natale quali noi siamo”.
“Bravo, bravissimo!”, proruppero
in grida di giubilo le lampadine del filo elettrico.
“Babbo, sei un mito!”, applaudì la
campanella rossa tintinnando a più non posso.
Di nuovo decine di voci, questa
volta inneggianti al babbo natale di pezza, si levarono da ogni parte dello
scatolone. Perfino l’albero di natale, che si trovava chiuso in un sacco di
plastica accanto allo scatolone degli addobbi e che fino a quel momento era sempre stato in disparte, decise di
prendere parte alla discussione generale.
“Propongo di eleggere babbo, capo
della nostra comunità per quest’anno e, se possibile, anche per gli anni a
venire! Chi è d’accordo lo dica o taccia per sempre!”
“Io sono d’accordo”, disse subito
palla dorata.
“Pure io, albero, sono
assolutamente d’accordo”, aggiunse il filo elettrico.
“Pure io!”.
“Io pure!”.
“Anche io! Contate anche me!”.
“Certo!”.
“Sono con voi! Babbo è il nostro
capo!”.
“Babbo, babbo!”.
“Si, vogliamo Babbo! Bravo
albero!”.
“Bene!”, disse l’albero notando
con soddisfazione che la sua proposta era stata accolta all’unanimità. “Sembra,
dunque, che abbiamo un nuovo capo...”.
“Io non sono d’accordo”.
Tutti gli oggetti si voltarono
nella direzione dalla quale proveniva quella voce che era piombata sulle loro
teste come un fulmine a ciel sereno.
“Non sono d’accordo”, ripeté la
punta dell’albero nel silenzio generale.
“Siamo una comunità democratica”,
disse l’albero. “Ti ascoltiamo, punta, parla pure”.
“Io sono la punta dell’albero.
Dimenticate che mentre voi siete posizionati tra i rami, io sto sopra tutti .
Di conseguenza, vedo cose che voi non potete vedere, senza contare che,
modestamente…”.
“Si, modestamente….”, fece il
verso disgustata la renna trasparente.
“Modestamente”, riprese la punta
con sguardo torvo rivolto alla renna. “Sono il tocco finale che rende un albero
di natale…come dire…unico…”.
“Puà! Che sfacciata! Ma che cosa
ci tocca sentire…”, disse palla dorata coprendosi gli occhi con la carta bianca
come se non volesse più vedere.
“Shhhhh!”, fece di rimando il
neoeletto capo Babbo Natale. “Tutti hanno il diritto di esprimere la propria
opinione, che vi piaccia o no!”, tuonò ancora.
Poi attese che venisse fatto di
nuovo silenzio e si rivolse alla punta.
“Hai detto ciò che pensavi e te
ne siamo grati. Prendiamo atto del tuo disappunto, ma la maggioranza ha
decretato che d’ora in avanti a guidarvi sarò io. Ti prego di rispettare questa
decisione come noi rispettiamo il tuo punto di vista e ti assicuro che ne
terremo conto. Sei importante per noi come ognuno è importante per la nostra
comunità. Il contributo di tutti è necessario perché l’armonia e la gioia che
dispensiamo siano sempre il nostro obiettivo primario. Ma ora prepariamoci. Se
non sbaglio siamo vicini alla data che stiamo tutti aspettando con ansia…forza
nastro, è arrivato il momento di dirci come stanno le cose! ”.
Il nastro rosso si avvicinò a un
lato della scatola mentre gli oggetti si retraevano per fare strada. Il momento
era davvero solenne. Avrebbero saputo tra poco quanto tempo rimaneva prima di
essere utilizzati per un nuovo Natale. Fiocco rosso aveva il compito di contare
i giorni che li separava dalla data fatidica. Lo faceva ascoltando il rintocco
delle ore di un vecchio pendolo anch’esso conservato nella soffitta. Questi,
con estrema gentilezza e cortesia, aveva accettato di fare un rintocco
particolare ogni mezzanotte per avvertire chi, tra gli oggetti accatastati in
quel luogo buoi e polveroso, fosse interessato alla conta del tempo. Inutile
dire che i suoi ammiratori più sfegatati erano proprio gli addobbi dell’albero
di Natale che non vedevano l’ora di essere liberati e rivedere la luce del
giorno. Fiocco rosso era stato dunque
incaricato di registrare i rintocchi e ogni mezzanotte, mentre tutti
dormivano beati russando e sognando, faceva un piccolo segno sulla parete
interna della scatola che corrispondeva a un giorno. Si avvicinò quindi con
aria solenne alla parete utilizzata per segnare i rintocchi dell’orologio
seguito da decine di occhi che in silenzio attendevano il responso.
“Dunque…ecco…lasciatemi contare…ventitré…settantotto…più
trentasette fa centoquindici….centonovantadue….aggiungiamo gli altri
cinquantaquattro e siamo a duecentoquarantasei….altri sessantuno e sono
trecentosette….ehm…aspettate….qui ce ne sono venti e quindi siamo a
trecentotrentasette…e quindi…o mamma mia…o Santa Vergine del Carmelo….ma non
può essere…”
“Suvvia fiocco!”, gridò
spazientito Babbo Natale. “Non tenerci sulle spine….quanto fa?”.
“Fa…fa…fa…se non sbaglio…”.
“Allora? Ti si è rigirata la
lingua?”
“Fa…insomma dovrebbe…cioè oggi
è….”
“Che giorno è oggi? Parla dunque!
Stiamo tutti aspettando!”
Fiocco si voltò verso la platea
che pendeva dalle sue labbra e in un silenzio pieno di trepidazione aveva
seguito tutti i suoi calcoli senza perdere una parola.
“E’ l’otto dicembre!”, disse
tutto d’un fiato accasciandosi poi contro la parete vinto dall’emozione e dalla
fatica per lo sforzo del difficile calcolo.
“L’otto dicembre? Oggi è l’otto
dicembre? Sei sicuro fiocco?”, domandò Babbo Natale mentre gocce di sudore gli
rigavano la fronte e il collo.
“Si…si...sicurissimo!”, balbettò
fiocco con un filo di voce. “Oggi è l’otto dicembre!”.
“Ma allora vuol dire che stanno
per venire a prenderci! Forza amici! Ognuno al proprio posto! Preparatevi! E’ giunto
il momento tanto atteso! Oggi torneremo a vivere! Vedremo la luce! Oggi è il
giorno che tutti aspettiamo! Di corsa! Sistematevi! Ogni momento può essere
quello giusto!”.
Ci fu un fuggi-fuggi generale.
Chi urlava, chi pregava, chi si
infilava nella propria scatolina, chi nella carta, chi si scontrava, chi non
trovava la propria posizione e si aggirava disperandosi ora di qua ora di là,
chi piangeva, chi rideva, chi chiamava, chi rispondeva, chi non sapeva cosa
fare o cosa dire.
Insomma, la confusione regnava
sovrana.
Alla fine, però, tutti riuscirono
a sistemarsi e di nuovo il silenzio la fece da padrone.
Babbo Natale attese che la
situazione si normalizzasse e poi si rivolse con un soffio di voce alla
scopetta di paglia che se ne stava rintanata nella busta di plastica
trasparente insieme a tanti altri oggetti che osservavano la scena tremando
dall’emozione.
“Ce la fai a metterti in piedi e
sbirciare fuori dalla scatola?”.
La scopetta si mise subito
sull’attenti. “Certo, Babbo! Ma per quale motivo?”.
“Voglio sapere se è giorno o
notte”.
“Agli ordini, Babbo! Eseguo
immediatamente!”.
La scopetta si drizzò sulle
setole e cercò di infilare la punta del suo manico tra la parete dello
scatolone e il coperchio. All’inizio non riuscì a fare nulla poiché quest’ultimo
era molto pesante e su di esso gravavano altri oggetti ammonticchiati l’uno
sull’altro. Ma poi, dàgli e dàgli, trovò un punto dove si era creato un po’ di
spazio e a forza di spingere finalmente poté sbirciare fuori. La flebile luce
della sera penetrava dalla finestrella della soffitta e a mala pena illuminava
l’ambiente interno.
“Allora?”, chiese ansiosamente
Babbo.
“E’ sera” sussurrò la scopetta abbassando il coperchio.
“Mmmm…”. Il capo degli addobbi
assunse un’aria pensosa. “Strano…è sera e ancora non si vede nessuno….forse
abbiamo sbagliato i calcoli….”.
Dall’altro lato della scatola si
udì la voce di fiocco.
“Io non mi sono sbagliato. Oggi è
l’otto dicembre! Non ho dubbi! E la giornata non è ancora finita!”.
“Fiocco ha ragione”, disse la
scopetta. “Può darsi che abbiano avuto altro da fare…forse tra poco
arriveranno…”.
“Mah, non so”, continuò Babbo con
la sua aria sempre più pensosa. “Attendiamo e vediamo. Se è davvero l’otto dicembre, qualcosa succederà.
Gli umani in questo sono molto precisi e attaccati alla tradizione. Campanelle,
restate sveglie. Al minimo rumore, date l’allarme. Intesi?”.
“Si, si, ci pensiamo noi!”,
gridarono all’unisono le campanelle. “Tanto non abbiamo sonno; siamo così
eccitate…”.
“Bene, allora buona notte a tutti
e….speriamo di essere svegliati!”.
Si stiracchiò un poco, poi
appoggiò la testa al fungo maculato e si addormentò di botto.
Era stata una giornata molto
faticosa.
Aveva da poco cominciato a
sognare che un rumore acuto lo fece sobbalzare.
Din, din , din din.
All’inizio non riuscì ad
identificare subito quello strano rumore; era sprofondato in un sonno così
profondo che faceva fatica anche solo a sollevare una palpebra.
Din , din, din ,din.
Poi capì di cosa si trattava: le campanelle!
Si voltò nella direzione da cui proveniva
quel suono ritmico e frenetico e riuscì a scorgere il filo cui erano legate le
campanelle che si contorceva a più non posso e costringeva i martelletti delle
minuscole campane a battere sul bordo delle stesse producendo il suono che lo
aveva svegliato di soprassalto.
Din, din , din, din.
“Ci siamo!”, urlò con quanto
fiato aveva in gola. “Svegliatevi tutti, stanno arrivando! Mi raccomando:
silenzio e ordine!”.
Tutti gli oggetti alzarono gli
occhi verso il coperchio. I loro cuori battevano ad un ritmo forsennato.
Tremavano come foglie al vento, tanta era l’emozione. Ma nonostante ciò, erano
tutti immobili e trattenevano il respiro. Dovevano solo attendere. Tra poco
avrebbero visto la luce.
Lo scatolone si mosse.
Qualcuno lo stava sollevando.
A quel punto ogni oggetto si
aggrappò con forza a chi stava accanto. Il filo elettrico si svolse e cinse le
palle di natale in modo che queste non
rotolassero da una parte all’altra dello scatolone. Tutto era stato
studiato e preparato nei minimi particolari. L’organizzazione era perfetta.
Poi lo scatolone cominciò a
dondolare, ora su, ira giù. Era chiaro che stavano percorrendo delle scale.
Poi smise di dondolare e non si
mosse più.
Si sentivano delle voci umane;
qualcuno stava armeggiando con qualcosa.
“Stanno montando l’albero!”, disse palla dorata.
“Zitta!”, fece di rimando Babbo.
“Non ti devono sentire! Sei forse impazzita?”.
Palla dorata abbassò gli occhi.
Era mortificata. Non doveva lasciarsi prendere dall’emozione, altrimenti
avrebbe rovinato la magia di quel momento tanto atteso.
Così si ammutolì e alzò di nuovo
lo sguardo in attesa degli eventi.
Non passarono che pochissimi
minuti e il coperchio venne sollevato.
Una mano penetrò nella scatola e
sollevò delicatamente palla dorata.
L’oggetto di vetro rimase
letteralmente abbagliato dalla luce.
Chiuse gli occhi e respirò
profondamente.
Aria! Luce! Dio che meraviglia!
E quella mano calda che la
toccava così delicatamente, che meravigliosa sensazione!
Ora si, sentiva la vita che si
impossessava di nuovo di lei, sentiva il vetro riscaldarsi, tutto il suo corpo
era pervaso da un tremito di benessere.
Oh, meraviglioso benessere…
Nonostante questo evento si
ripetesse ogni anno, tutto sembrava nuovo, era come se fosse ogni volta la
prima volta.
Aprì gli occhi.
Davanti a lei altri due occhi.
Sotto di lei decine di occhi la
fissavano pieni di ammirazione e anche
di invidia.
Guardò prima in basso.
Poi in alto.
Quegli occhi la rapivano, la
stregavano.
“Ricorda!”, la voce di Babbo le
giunse da lontano. Sembrava venire dalle viscere della terra. “Lasciati
trasportare senza dire una parola! Non ti muovere! Non respirare! E’ la nostra
regola! Ricorda!”.
Si, lo ricordava bene.
Ma c’era
qualcosa….qualcosa….quegli occhi che la guardavano…non poteva resistere….doveva
dire qualcosa….voleva dire qualcosa…
Non resistette all’impulso.
Una forza misteriosa la chiamava
a comportarsi in maniera diversa dagli altri anni.
“La regola!”, pensò per un
attimo. “Chi se ne frega della regola!”, pensò un attimo dopo.
Così sgranò gli occhi e guardando
fisso in quegli occhi umani che la continuavano ad osservare mentre la tenevano
sospesa a mezz’aria con una mano, ruppe ogni indugio.
“Ehi!”, disse. “Ciao,
sono…sono…palla dorata…anche se non mi piace che mi si chiami così, tu puoi
farlo, se vuoi…sai, sono felice che tu mi abbia presa…vedrai, non ti
deluderò…sono bella, fragile, ma bella….farai un figurone con i tuoi
amici…io…io…sono così felice di essere qui…di nuovo…mi sento finalmente
viva…vedo la luce….questi mesi al buio sono stati un inferno…che depressione…ma
ora…ora….è un’altra cosa…vuoi essere mio amico? Ti va di parlare un po’ con
me?...ti ascolto se vuoi…puoi confidarmi i tuoi pensieri, le tue
preoccupazioni…posso essere una buona amica…ho tanto bisogno di amici…e…pure
tu, immagino…insomma io…”
Gli occhi la scrutarono più da
vicino.
Oddio! Forse l’avevano sentita!
L’umano avrebbe potuto parlare con lei! Santo cielo, che emozione!
Alla faccia della Regola!
Ma perché non l’aveva fatto gli
anni scorsi?
Che stupida che era stata a dar
retta a quegli ancor più stupidi dei suoi colleghi!
Ora avrebbero visto che cosa era
capace di fare e soprattutto cosa si erano persi dando retta a quella maledetta
regola che impediva loro di comunicare con gli umani!
Ma…ma…cosa stava succedendo?
L’umano l’aveva attaccata ad un
ramo del’albero e ora si accingeva a prendere altri oggetti dallo scatolone!
Ma come, non l’aveva sentita?
Tutte quelle smorfie, quello
sguardo dolce e comprensivo per nulla?
Ma che razza di scherzo era
quello?
D’un tratto comprese.
Non avrebbe mai potuto parlare
con l’umano, raccontare la sua storia, fargli capire che si trattava di una
cosa viva e non di un semplice oggetto da appendere per addobbare un albero e
far ridere i bambini.
Una grande tristezza si impadronì
di lei.
Decise di non parlare più,
neanche con i suoi compagni di scatolone.
Ad uno ad uno questi venivano
presi e posti sui vari rami dell’albero.
Ridevano, erano felici.
Ma lei no.
Non poteva esserlo.
Arrivarono gli gnomi, le
stelline, campanelle e festoni, poi i funghi, le ciliegie, i fiocchi, Babbo
Natale e le renne, perfino il ragno d’argento.
Poi arrivarono le luci che
addirittura presero a cantare quando la spina del filo elettrico fu collegata
alla presa.
Tutti erano contenti.
Tutti sprizzavano allegria da
tutti i pori.
Che rabbia!
Ed infine la punta.
Guardava gli oggetti dall’alto in
basso, con aria trionfante, come fosse una star di Hollywood.
“Che vi piaccia o no, io sto
sempre più in alto di voi!”, urlò con aria di sfida mentre veniva posizionata
sulla punta dell’albero.
“Vedi piuttosto di non farmi il
solletico!”, disse l’albero guardandola torvo. “Se non fai la brava ti faccio
cadere per terra, così la vediamo se continui a far l’arrogante stupida!”.
La punta ammutolì di colpo.
Se l’albero l’avesse fatta cadere
da quell’altezza si sarebbe frantumata in mille pezzi.
Meglio star zitta e godersi
comunque il suo trionfo.
Tanto, sempre più in basso
sarebbero stati, quegli insignificanti addobbi da quattro soldi.
Babbo Natale, al centro
dell’albero, osservava tutto con grande attenzione.
Avrebbe dovuto rimproverare come
si conveniva palla dorata per aver infranto la regola, ma decise di non farlo.
Dopo tutto non aveva fatto nulla di male se non tentare di instaurare una
conversazione improbabile, molto improbabile, con gli umani.
Ne avrebbero parlato una volta
tornati nello scatolone.
D’un tratto però accadde
qualcosa.
L’umano si avvicinò all’albero e
osservò gli oggetti uno ad uno.
Poi si voltò e gridò nella
direzione opposta.
“Tesoro! Puoi venire un attimo,
per favore?”.
“Vengo!”, una voce femminile
rispose al suo invito.
“Deve essere la moglie
dell’umano”, pensò Babbo.
Dopo pochi secondi l’umana si
materializzò davanti l’albero.
“Guarda”, disse l’umano.
“E’ bellissimo”, rispose lei
osservando gli addobbi uno ad uno.
Aveva occhi verdi anche lei, come
l’umano.
La sua mano toccava ogni oggetto
con delicatezza e si soffermava ora su questo, ora su quello.
Ad alcuni fece il solletico e
provocò risatine di piacere,
La renna starnutì e le campanelline non riuscirono a trattenere
un dolce tintinnio di piacere.
“Non sembrano…vivi?”, domandò
l’umano.
“Si, è vero”, disse l’umana con
un sorriso che le illuminò il volto.
Gli oggetti, in silenzio,
ascoltavano i due parlottare.
“Oh se potessero raccontare le
loro storie…”, sospirò l’umana.
“Potrei scriverle….”, disse
l’umano con un sorriso.
“E’ vero, potresti renderli vivi inventando le loro
storie, dando loro una voce…”.
I due si guardarono e sorrisero.
Anche gli oggetti si guardarono e
si sorrisero l’un altro.
Sorrise anche palla dorata.
Già, aveva capito.
Avrebbero avuto tutti una propria
storia, l’umano li avrebbe fatti vivere.
Ora poteva essere felice.
Sarebbe stato proprio un Natale
speciale
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