Quando calava la
notte e le candide nuvole avvolgevano il cielo, una giovane fanciulla si
affacciava alla finestra del suo castello per contemplare l'argentea luna.
Ella, sin da
quando era piccola, credeva che quel batuffolo di luce, all'imbrunire del
giorno, si recasse accanto al suo letto per vegliare su di lei, per
accarezzarla con il suo splendore. Per ore e ore la ragazza, con gli occhi
fissi sulla sfera, sognava come potesse essere sfiorarla e lasciare che le sue
dita assaporassero la morbidezza dell'astro.
Una notte, la fanciulla decise di provare ad
avvicinarsi alla luna. Scese nell'immenso giardino che circondava il castello e
cominciò a correre verso quella luce. Ogni passo fatto le dava, però, l’impressione
di allontanarsene sempre di più, come se quel luminoso disco volesse sfuggirle.
La fanciulla, esausta e infreddolita, si
rannicchiò tra i cespugli. Lacrime calde le bagnarono il volto ormai intristito.
Nel vedere quella scena, un vecchio
mendicante, noto alla gente del castello per saggezza e doti di magia, preso da
compassione, le si avvicinò per chiederle cosa le avesse recato così tanto
dolore. Ella gli raccontò la sua storia. Dopo averla ascoltata con attenzione, il
vecchio le promise aiuto, dicendo: <<Questa che vedi tra le mie mani è
una polvere magica, in grado di esaudire ogni tuo desiderio. Sta attenta, però,
i suoi poteri possono accontentarti per una volta soltanto ed è impossibile
sciogliere il sortilegio>>.
La fanciulla,
speranzosa, ringraziò il mendicante e afferrò il sacchetto di cuoio. Dopo
averle ripetuto nuovamente le tante raccomandazioni, l'uomo sparì tra la nebbia
della notte.
Impaziente, la
fanciulla sciolse il nodo che sigillava il sacchetto…e…
oh, meraviglia! Tanti
cristalli colorati iniziarono a librarsi nell'aria, a circondare il suo corpo e
ad abbagliare i suoi occhi. In quell'istante ella pronunciò il suo
desiderio:<< Vorrei sedere accanto alla luna. Vorrei ammirarla da vicino.
Vorrei toccarla con le mie piccole mani>>.
Immediatamente i suoi
piedi non avvertirono più la freschezza dell'erba bagnata dalla rugiada. Il
potere dei cristalli le consentì di spiccare il volo. Impaziente di ottenere
ciò che aveva sempre desiderato, alzò il braccio destro verso l'universo, come
se volesse già afferrarla. In pochi secondi se la trovò tra le dita. Riuscì a
percepire tutte quelle sensazioni che per anni aveva solo potuto immaginare. La
gioia invase ogni parte del suo corpo.
La magia non si
concluse lì. La fanciulla divenne un tutt’uno con il cielo. I suoi capelli
setosi divennero un manto di stelle luccicanti e il suo sorriso accrebbe la
luminosità della luna.
Ella da allora volle vagare per il mondo, portare
la sua luce nella vita di ogni uomo, donare il suo sorriso in ogni piccolo
cuore.
Una notte l’aria era pervasa da un freddo tagliente ma, allo
stesso tempo, si respirava qualcosa di magico. Lungo oscuri e scoscesi
sentieri, scendevano a valle, pregando devoti, uomini e donne con umili doni:
fresche primizie, chicchi di grano, spezie e broccati di terre lontane.
E chi erano quei tre re con strani copricapi,
sembravano maghi, quelli ritratti sul suo Libro delle Fate. E che ricco corteo
di cammelli bardati, quante scatoline d’oro, rubini, zaffiri risplendenti! E
quei vasi preziosi, profumavano di mirra ed incenso.
<<Sembrano essersi smarriti…poveretti.
Occorre che li aiuti. Ma dovrò calmare il mio freddo amico vento!>>.
Pregò allora il
fiero Borea di soffiare dolcemente, di esser mite come Zefiro al sole di
primavera. Il vento, rabbonito, parlò, soffiando tra le foglie ai tre uomini
assisi in una grotta dopo il lungo e incerto cammino.
<<Seguite
quel candido astro nel cielo! Certa la fede, unico il sentiero! Ma ditemi prima
qual è la vostra meta, chi mai cercate in questa notte nera>>. I tre, ascoltato il sussurro, dissero di venire
da terre lontane, di essere maghi e re alla ricerca di un bimbo appena nato. Era quel bimbo venuto al mondo per renderlo
migliore, ma intanto giaceva in una stalla, dove un bue e un asinello gli
donavano un po’ di tepore.
Il vento riportò le parole alla sollecita Luna
e la dea, incuriosita, si diede a cercare anche lei quel bambino, facendo da
guida ai tre uomini con la sua scia di stelle e d’argento.
E così, dopo
valli percorse tra ripidi sentieri, eccoli infine nel paesino di Betlemme: vi era
lì una capanna circondata da devoti e, all'interno, una donna, un uomo, un
bambino, un bue paziente ed un umile asinello. Una dolce melodia risuonava
nell’aria, tra suoni di zufoli e agresti zampogne, tra inni di gioia e canti
devoti.
L’astro annunciò di
aver trovato il Redentore e i tre uomini, ormai esausti, si apprestarono a
porgergli i doni preziosi. Col loro seguito e con fare maestoso, riuscirono a farsi strada tra la folla incuriosita
di pastori e ad arrivare, con un riverente inchino, accanto alla culla del
bambino. Il redentore giaceva su un cumulo di paglia che sembrava dorata. I suoi
occhi azzurri sorrisero ai colori dei gioielli, agli abiti sfarzosi, alle urne
profumate di mirra e incenso. La madre stringeva la mano del piccolo, accarezzandogli
le morbide guance; come era dolce il suo viso, soffuso da un triste sorriso! Quante
volte col suo mantello turchino avrebbe avvolto il suo piccolo, gli avrebbe
offerto calore e sollievo come un abbraccio di cielo; e il padre, l’umile
Giuseppe, le stava accanto devoto, si assicurava che i due animali
riscaldassero il piccino col loro respiro, ancora incredulo di fronte a quel
miracolo grandioso, quella vita sbocciata dalla fede e dall’amore.
Fuori dalla
capanna, il tempo sembrava essersi fermato. Ovunque si respiravano pace ed
armonia. Quel bimbo col suo volto sereno sembrava non accorgersi neppure del terribile
gelo. E tra canti, preghiere, offerte di doni, quel piccolo villaggio là fuori presagiva
l’avvento di un mondo migliore e diverso, un mondo di amore e innocenza, di
fede devota in speranze ormai disperse. La stessa natura sembrava risplendere
in un magico incanto: bagliori luminosi brillavano su picchi montani, sulle
limpide superfici di ruscelli e di laghi; tra cristalli di ghiaccio fioriti
timidi bucaneve facevano capolino.
Offerti i loro doni, i tre uomini ripresero il
cammino col cuore in pace e l’animo felice.
Fu quindi
la volta dei pastori, che offrirono al bambino la lana e il fresco latte
di bianche pecorelle e docili capre, e poi di
contadini con ceste piene di pani, di miele e primizie prelibate, e ancora pescatori
con i loro pesciolini argentati, sembravano riflettere i verdi riflessi del lago. Sarte, lavandaie
porgevano, materne, calde coperte e fresca biancheria; neppure mancava chi
accendeva del fuoco, chi offriva del fieno alle due bestie mansuete, che ancora
riscaldavano il bambino con dolcezza e zelo.
E quel piccolo
pastore addormentato? Era l’orfano Benito nel suo sonno beato, dopo il lugo
cammino. Avrebbe conosciuto quel bimbo, sarebbe stato il suo fratellino,
avrebbe donato il suo cuore, a lui e alla sua nuova madre, la Vergine Maria.
E la luna? Cosa
poteva offrire a quel tenero piccino? Non aveva che la sua luce e il suo
sorriso.
Si avvicinò alla
capanna, posandosi in cima, accolta da angioletti curiosi che guardavano
abbagliati la sua scia.
<< Come sei bella! Sei la regina delle
stelle o sei la sposa del Sole con il tuo candido splendore?>>.
<<Sono la
Luna e vengo da lontano; ad uomini smarriti facevo da faro, ad anime sperdute indicavo
la via finché trovai una luce più grande della mia>>.
<<E volerai
lontano? Perché non resti a farci compagnia?>>
<<Starò
sempre con voi su questa capannina, per donare al bambino la gioia di un
sorriso, come un raggio di sole riscalderò il suo viso!>>.
E così, tra
angioletti che danzavano a festa, dispiegò il suo mantello d’ oro e d’argento.
Già, perché non
era più la Luna, ormai. Era una stella, la più bella e splendente. Era la
Cometa, la stella della fede.
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