«Ci avevano mandato un nuovo film. Era The Fly, con Vincent Price. Appena un anno prima, mi avrebbe spaventato a morte, e il punto in cui la mosca dalla testolina di uomo dice "Aiutatemi" mi avrebbe fatto venire gli incubi. Adesso non piú. Non dopo aver visto la luce del fantasma, non dopo essere stato rincorso quella notte da Bubba Joe, non dopo essere quasi stato investito da un treno e aver visto Buster che gli tagliava la gola, a Bubba Joe, e lo buttava nel torrente».
Tra romanzo horror e Il buio oltre la siepe, La sottile linea scura (A Fine Dark Line) è la superba conferma della «svolta» inaugurata da Joe Lansdale con il romanzo The Bottoms (pubblicato in Italia col titolo In fondo alla palude). Raggiunti i cinquanta anni di età, l'iperproduttivo scrittore texano sembra voler mettere da parte, almeno per il momento, le predilette atmosfere neo-pulp e iperrealiste a favore di una narrativa piú distesa, in realtà sottilmente capace di contenerle in sé come sapori essenziali, insieme a molti altri. E per questa via Lansdale si innesta nella grande corrente degli scrittori ossessionati dall'adolescenza e dalla «perdita dell'innocenza», vista in questo caso attraverso gli occhi di un ragazzino tredicenne la cui vita è destinata a subire profondi mutamenti nel corso dell'estate del 1958.La sottile linea scura rievoca le tensioni razziali all'interno delle piccole comunità del Texas orientale, in una sorta di guerra tra poveri che rischia, alla fine, di lasciare solo vinti e nessun vincitore. Mescolando orrore e stupore, comico e grottesco, il bersaglio di Lansdale è la suprema arroganza - in realtà, profonda ignoranza - di una razza che si crede superiore alle altre. Ma anche per questa arroganza c'è pietà, nello sguardo magistrale con cui il narratore ci consegna, come un gioiello luminoso, questo frammento d'America sottratto al buio del passato. Che sembra pulsare con l'anima selvaggia e perennemente inquieta, e perciò capace di scoprire il mondo, di quell'adolescente che ognuno è stato.
PUBBLICATO DA: Einaudi - 296 Pag. € 12,00
VOTO: 9
GIUDIZIO: Questo è un thriller molto particolare, è ambientato in Texas nell’estate del 1958, contesto storico molto particolare caratterizzato dal forte razzismo nei confronti delle persone di colore.
La
vicenda un mix fra thriller, in quanto si indaga sugli omicidi di due ragazzine
morte anni prima, e il romanzo di formazione, in quanto il giovane Stanley
Mitchell si trova ad attraversare quella fase di passaggio dall’infanzia
all’età adulta, ad attraversare la sottile linea scura che separa il mondo dei
vivi da quello dei morti.
Non
voglio entrare troppo nel dettaglio della trama per non rovinare la lettura del
romanzo. Il punto di forza si basa sull’abilità narrativa di Lansdale che
racconta eventi crudi, freddi e spietati, ma contemporaneamente sa trascinare
il lettore nell’afoso clima dell’estate texana all’epoca in cui si svolsero i
fatti narrati. Un epoca passata, fatta di altri valori ben diversi da quelli
odierni, ma anche molto più dura a causa appunto del forte razzismo che vigeva
allora in America nei confronti dei neri.
Così
Stanley, il protagonista, a tredici anni scopre che il mondo è ben diverso da
come l’ha sempre conosciuto fino ad allora: scopre che le persone fanno sesso
tra loro, bevono, picchiano donne e figli e odiano i “negri”. Tutte realtà
molto lontane a lui e alla sua famiglia, famiglia in cui ciascun membro è amato
e rispettato, iniziando proprio dal fedele cane Nub. Una famiglia in cui, a
differenza delle altre, le persone di colore che vi lavorano vengono rispettate
e considerate al pari degli altri membri della famiglia, andando in controtendenza
rispetto alla tradizione culturale del Texas del secondo dopoguerra.
E’
un romanzo molto ben costruito, in cui il lettore viene coinvolto dalla prima
all’ultima pagina, popolato di personaggi ben delineati, ognuno dei quali
insegnerà qualcosa a Stanley nella sua fase di crescita ed ingresso nel mondo
adulto. Il finale secondo me è l’unico punto debole, le ultime righe del romanzo
recitano: “Non sempre la vita da soddisfazione e, al tirar delle somme, carne e
polvere finiscono per rivelarsi la stessa cosa.” Concordo in parte con la prima
parte della frase, ma ritengo che la seconda sia valida solo quando lo è anche
la prima, altrimenti perde di significato. Essendo questa la riflessione finale
di Stanley, che ormai adulto ripensa agli insegnamenti ricevuti in quella
lontana estate del ’58, credo che sia una conclusione eccessivamente pessimista
e inadatta a come poi Stanley è uscito da quelle vicende. Ritengo che l’autore
poteva scegliere una riflessione diversa, per esempio sulla speranza nel
cambiamento dell’atteggiamento nei confronti delle persone di colore, oppure
sulla passione per il cinema trasmessa dal padre a Stanley che si sarebbe
potuta interpretare come fuga da quella realtà culturalmente molto povera e difficile;
insomma, si poteva concludere in bellezza lanciando un messaggio un po’ meno
triste e inquietante.
Nonostante
questa piccola nota dolente, ritengo il romanzo assolutamente valido,
coinvolgente, che merita una lettura anche come spunto di riflessione sui
valori che caratterizzano la società e sui cambiamenti culturali che si
verificano col passare del tempo e delle generazioni che la formano. Lansdale è
riuscito ad immettere tutto questo in un thriller e non in un saggio di
sociologia; credo che questa sia un ulteriore prova delle abilità narrative
dell’autore, tanto che alla fine, man mano che si legge il libro, non si è più
molto interessati al proseguimento delle indagini, quanto più alla crescita
personale del protagonista.