mercoledì 16 dicembre 2015

La ragazza del treno - Paula Hawkins

TRAMA: La vita di Rachel non è di quelle che vorresti spiare. Vive sola, non ha amici, e ogni mattina prende lo stesso treno, che la porta dalla periferia di Londra al suo grigio lavoro in città. Quel viaggio sempre uguale è il momento preferito della sua giornata. Seduta accanto al finestrino, può osservare, non vista,  le case e le strade che scorrono fuori e, quando il treno si ferma puntualmente a uno stop, può spiare una coppia, un uomo e una donna senza nome che ogni mattina fanno colazione in veranda. Un appuntamento cui Rachel, nella sua solitudine, si è affezionata. Li osserva, immagina le loro vite, ha perfino dato loro un nome: per lei, sono  Jess e Jason, la coppia perfetta dalla vita perfetta. Non come la sua.
Ma una mattina Rachel, su quella veranda, vede qualcosa che non dovrebbe vedere. E da quel momento per lei cambia tutto. La rassicurante invenzione di Jess e Jason si sgretola, e la sua stessa vita diventerà inestricabilmente legata a quella della coppia. Ma che cos’ha visto davvero Rachel?
Nelle mani sapienti di Paula Hawkins, il lettore viene travolto da una serie di bugie, verità, colpi di scena e ribaltamenti della trama che rendono questo romanzo un thriller da leggere compulsivamente, con un finale ineguagliabile. Decisamente il debutto dell’anno, ai vertici di tutte le classifiche.

PUBBLICATO DA Piemme (2015), 306 pp. - 19,50 €

VOTO: 9/10

GIUDIZIO:
Rachel è a un punto fermo della sua vita: non riesce ad accettare la fine del suo matrimonio, ha problemi con l’alcol e a causa di questo ha perso il lavoro.
Vivendo temporaneamente da un’amica, e non sapendo come giustificarle il licenziamento, ogni mattina Rachel prende il treno e si reca a Londra come se stesse andando in ufficio, trascorre la giornata a bighellonare fingendosi impegnata e rientra la sera. Durante questi viaggi Rachel guarda fuori dal finestrino, spesso sorseggiando gin tonic o vino, ogni mattina e ogni sera, osservando le vite delle persone che abitano nelle case situate lungo il percorso della ferrovia.
Tra queste, una in particolare attira la sua attenzione: quella situata al 15 di Blenheim Road, proprio prima del semaforo che blocca il treno ogni mattina alla stessa ora.
Non tanto per il fatto che qualche anno prima Rachel viveva a poca distanza da quella casa, al civico 23, quando era felicemente sposata con Tom. Quello che attira l’attenzione di Rachel è la coppia che vive in quella casa, una giovane coppia di sposini, dei quali Rachel si costruisce nella testa una vita immaginaria, dando loro addirittura dei nomi: Jess e Jason.
Tutto procede nella normalità fino a quando Rachel, una mattina, vede Jess nelle braccia di un altro uomo. Non è il solito Jason, ha un aspetto diverso, e i due si baciano. Rachel è molto delusa da Jess, non capisce perché tradisca il povero Jason, col quale sembrava così felice.
Da qui si dipana un giallo molto intricato, pieno di suspance, scritto con un talento sorprendente dalla Hawkins, al suo debutto letterario.
Il libro cattura l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina, in quanto ad ogni capitolo si vuole sempre conoscere lo sviluppo della trama che è parecchio intricata e avvincente.

Consiglio questo romanzo soprattutto ai pendolari, che scommetto non vorranno mai scendere dal treno per poter proseguire la lettura fino alla fine.







martedì 15 dicembre 2015

Vincitore della 1° edizione del concorso "Racconto di Natale"

Siamo giunti alla fine della prima edizione del concorso "Racconto di Natale"  e il vincitore è....

Memorie di un vecchio albero di Natale


 


Congratulazione alla vincitrice. Di seguito pubblichiamo la classifica con i relativi voti.





martedì 1 dicembre 2015

Via alle votazioni

Dopo la pubblicazione dei Racconti partecipanti al concorso "Racconto di Natale" vi abbiamo dato qualche giorno per leggere ognuno di essi e farvene un opinione. 
Ora è venuto il momento di votare qual'è stato il vostro  scritto preferito lasciando un commento sotto questo post. Potete lasciare un commento a testa indicando il numero o il nome del Racconto.
Le votazioni partiranno subito e termineranno Lunedì 14 Dicembre,
Buona fortuna a tutti gli scrittori partecipanti.

Racconto n. 1 - God Rest Ye Merry, Gentlemen

Racconto n.2 - Un Natale speciale

Racconto n.3 - Un gioiello raro

Racconto n.4 - La vaccinazione antiinfluenzale

Racconto n.5 - Memorie di un vecchio albero di Natale

Racconto n.6 - La perla dell'amore

Racconto n.7 - Racconto di Natale

Racconto n.8 - La leggenda della cometa

giovedì 26 novembre 2015

Racconto n.8 - La leggenda della cometa

Quando calava la notte e le candide nuvole avvolgevano il cielo, una giovane fanciulla si affacciava alla finestra del suo castello per contemplare l'argentea luna.
Ella, sin da quando era piccola, credeva che quel batuffolo di luce, all'imbrunire del giorno, si recasse accanto al suo letto per vegliare su di lei, per accarezzarla con il suo splendore. Per ore e ore la ragazza, con gli occhi fissi sulla sfera, sognava come potesse essere sfiorarla e lasciare che le sue dita assaporassero la morbidezza dell'astro.
 Una notte, la fanciulla decise di provare ad avvicinarsi alla luna. Scese nell'immenso giardino che circondava il castello e cominciò a correre verso quella luce. Ogni passo fatto le dava, però, l’impressione di allontanarsene sempre di più, come se quel luminoso disco volesse sfuggirle.
 La fanciulla, esausta e infreddolita, si rannicchiò tra i cespugli. Lacrime calde le bagnarono il volto ormai  intristito.
 Nel vedere quella scena, un vecchio mendicante, noto alla gente del castello per saggezza e doti di magia, preso da compassione, le si avvicinò per chiederle cosa le avesse recato così tanto dolore. Ella gli raccontò la sua storia.  Dopo averla ascoltata con attenzione, il vecchio le promise aiuto, dicendo: <<Questa che vedi tra le mie mani è una polvere magica, in grado di esaudire ogni tuo desiderio. Sta attenta, però, i suoi poteri possono accontentarti per una volta soltanto ed è impossibile sciogliere il sortilegio>>.
La fanciulla, speranzosa, ringraziò il mendicante e afferrò il sacchetto di cuoio. Dopo averle ripetuto nuovamente le tante raccomandazioni, l'uomo sparì tra la nebbia della notte.
Impaziente, la fanciulla sciolse il nodo che sigillava il sacchetto…e…
oh, meraviglia! Tanti cristalli colorati iniziarono a librarsi nell'aria, a circondare il suo corpo e ad abbagliare i suoi occhi. In quell'istante ella pronunciò il suo desiderio:<< Vorrei sedere accanto alla luna. Vorrei ammirarla da vicino. Vorrei toccarla con le mie piccole mani>>.
Immediatamente i suoi piedi non avvertirono più la freschezza dell'erba bagnata dalla rugiada. Il potere dei cristalli le consentì di spiccare il volo. Impaziente di ottenere ciò che aveva sempre desiderato, alzò il braccio destro verso l'universo, come se volesse già afferrarla. In pochi secondi se la trovò tra le dita. Riuscì a percepire tutte quelle sensazioni che per anni aveva solo potuto immaginare. La gioia invase ogni parte del suo corpo.
La magia non si concluse lì. La fanciulla divenne un tutt’uno con il cielo. I suoi capelli setosi divennero un manto di stelle luccicanti e il suo sorriso accrebbe la luminosità della luna.
 Ella da allora volle vagare per il mondo, portare la sua luce nella vita di ogni uomo, donare il suo sorriso in ogni piccolo cuore.
 Una notte l’aria era  pervasa da un freddo tagliente ma, allo stesso tempo, si respirava qualcosa di magico. Lungo oscuri e scoscesi sentieri, scendevano a valle, pregando devoti, uomini e donne con umili doni: fresche primizie, chicchi di grano, spezie e broccati di terre lontane.
  E chi erano quei tre re con strani copricapi, sembravano maghi, quelli ritratti sul suo Libro delle Fate. E che ricco corteo di cammelli bardati, quante scatoline d’oro, rubini, zaffiri risplendenti! E quei vasi preziosi, profumavano di mirra ed incenso.
 <<Sembrano essersi smarriti…poveretti. Occorre che li aiuti. Ma dovrò calmare il mio freddo amico vento!>>.
Pregò allora il fiero Borea di soffiare dolcemente, di esser mite come Zefiro al sole di primavera. Il vento, rabbonito, parlò, soffiando tra le foglie ai tre uomini assisi in una grotta dopo il lungo e incerto cammino.
<<Seguite quel candido astro nel cielo! Certa la fede, unico il sentiero! Ma ditemi prima qual è la vostra meta, chi mai cercate in questa notte nera>>. I  tre, ascoltato il sussurro, dissero di venire da terre lontane, di essere maghi e re alla ricerca di un bimbo appena nato.  Era quel bimbo venuto al mondo per renderlo migliore, ma intanto giaceva in una stalla, dove un bue e un asinello gli donavano un po’ di tepore.
 Il vento riportò le parole alla sollecita Luna e la dea, incuriosita, si diede a cercare anche lei quel bambino, facendo da guida ai tre uomini con la sua scia di stelle  e d’argento.
E così, dopo valli percorse tra ripidi sentieri,  eccoli infine nel paesino di Betlemme: vi era lì una capanna circondata da devoti e, all'interno, una donna, un uomo, un bambino, un bue paziente ed un umile asinello. Una dolce melodia risuonava nell’aria, tra suoni di zufoli e agresti zampogne, tra inni di gioia e canti devoti.
L’astro annunciò di aver trovato il Redentore e i tre uomini, ormai esausti, si apprestarono a porgergli i doni preziosi. Col loro seguito e con fare maestoso,  riuscirono a farsi strada tra la folla incuriosita di pastori e ad arrivare, con un riverente inchino, accanto alla culla del bambino. Il redentore giaceva su un cumulo di paglia che sembrava dorata. I suoi occhi azzurri sorrisero ai colori dei gioielli, agli abiti sfarzosi, alle urne profumate di mirra e incenso. La madre stringeva la mano del piccolo, accarezzandogli le morbide guance; come era dolce il suo viso, soffuso da un triste sorriso! Quante volte col suo mantello turchino avrebbe avvolto il suo piccolo, gli avrebbe offerto calore e sollievo come un abbraccio di cielo; e il padre, l’umile Giuseppe, le stava accanto devoto, si assicurava che i due animali riscaldassero il piccino col loro respiro, ancora incredulo di fronte a quel miracolo grandioso, quella vita sbocciata dalla fede e dall’amore.
Fuori dalla capanna, il tempo sembrava essersi fermato. Ovunque si respiravano pace ed armonia. Quel bimbo col suo volto sereno sembrava non accorgersi neppure del terribile gelo. E tra canti, preghiere, offerte di doni, quel piccolo villaggio là fuori presagiva l’avvento di un mondo migliore e diverso, un mondo di amore e innocenza, di fede devota in speranze ormai disperse. La stessa natura sembrava risplendere in un magico incanto: bagliori luminosi brillavano su picchi montani, sulle limpide superfici di ruscelli e di laghi; tra cristalli di ghiaccio fioriti timidi bucaneve facevano capolino.
 Offerti i loro doni, i tre uomini ripresero il cammino col cuore in pace e l’animo felice.
  Fu quindi la volta dei pastori, che offrirono al bambino la lana e il fresco latte
 di bianche pecorelle e docili capre, e poi di contadini con ceste piene di pani, di miele e primizie prelibate, e ancora pescatori con i loro pesciolini argentati, sembravano riflettere  i verdi riflessi del lago. Sarte, lavandaie porgevano, materne, calde coperte e fresca biancheria; neppure mancava chi accendeva del fuoco, chi offriva del fieno alle due bestie mansuete, che ancora riscaldavano il bambino con dolcezza e zelo.
E quel piccolo pastore addormentato? Era l’orfano Benito nel suo sonno beato, dopo il lugo cammino. Avrebbe conosciuto quel bimbo, sarebbe stato il suo fratellino, avrebbe donato il suo cuore, a lui e alla sua nuova madre, la Vergine Maria.
E la luna? Cosa poteva offrire a quel tenero piccino? Non aveva che la sua luce e il suo sorriso.
Si avvicinò alla capanna, posandosi in cima, accolta da angioletti curiosi che guardavano abbagliati la sua scia.
 << Come sei bella! Sei la regina delle stelle o sei la sposa del Sole con il tuo candido splendore?>>.
<<Sono la Luna e vengo da lontano; ad uomini smarriti facevo da faro, ad anime sperdute indicavo la via finché trovai una luce più grande della mia>>.
<<E volerai lontano? Perché non resti a farci compagnia?>>
<<Starò sempre con voi su questa capannina, per donare al bambino la gioia di un sorriso, come un raggio di sole riscalderò il suo viso!>>.
E così, tra angioletti che danzavano a festa, dispiegò il suo mantello d’ oro e d’argento.

Già, perché non era più la Luna, ormai. Era una stella, la più bella e splendente. Era la Cometa, la stella della fede.

martedì 24 novembre 2015

Racconto n.7 - Racconto di Natale



   Quell’inverno fu uno dei più freddi a Gualtieri, giorni e giorni di grandi nevicate. Tutto era imbiancato e candido come una torta di compleanno ricoperta di pasta da zucchero sulla quale era sbadatamente caduto un vasetto di zucchero a velo, la torre dell’orologio era l’unica cosa che spuntava come una specie di candelina. Mario giocava coi suoi amici e anche se veniva da questi chiamato Piscialetto, perché una notte in colonia aveva bagnato il letto senza volere, si divertiva a costruire pupazzi di neve dal naso di carota oppure lanciava palle di neve grosse come arance contro quelli che lo chiamavano così. Essere chiamato Piscialetto lo faceva saltare su tutte le furie e il fatto che papà gli dicesse per rincuorarlo che «pure gli altri bambini di sicuro l’avevano fatta a letto almeno una volta solo che non erano stati beccati dai loro compagni», non lo rincuorava per niente.
   Nonostante ciò il Natale era alle porte e tutto questa storia del piscialetto passava in secondo piano, c’era da sperare nei bei regali, essere più buoni del solito, fare i compiti delle vacanze, insomma un bell’impegno per le feste. Una cosa però accomunava tutti i bambini di Gualtieri: l’antipatia verso il signor Ubaldo. Il signor Ubaldo era un vecchietto burbero e scontroso che non amava i bambini né il Natale, anzi si faceva prima a dire cosa gli piacesse, tra queste poche cose senz’altro c’era: spaventare i bambini. I bambini lo temevano e al tempo stesso gli facevano dispetti come lanciare palle di neve contro il suo vecchio furgone o intonare filastrocche nelle quali prendevano in giro la sua folta barba bianca e la sua panciotta rotonda.
   Decisero allora che uno scherzo coi fiocchi per uno che odiava il Natale, e a ragion di questo si raccontava che facesse pernacchie ogni qual volta si parlasse di Natale, fosse chiedere l’intervento di Babbo Natale stesso, e infatti nelle loro letterine scrissero tutti quanti la stessa cosa: «Caro Babbo Natele quest’anno per natale vorrei che al tuo posto ci fosse il signor Ubaldo», questo scrissero.
   Babbo Natale rimase sorpreso nel vedersi recapitare una tale mole di lettere in cui tutti richiedevano la stessa cosa, così s’incuriosì e mandò là a Gualtieri il suo elfo agente segreto a spiare da vicino il signor Ubaldo. Scoprì che quest’ultimo era ruvido come la corteccia dei pini che circondavano la sua casetta, dispettoso più del morbillo e appena un po’ meno sgradevole dello sciroppo per la tosse. Capì anche che quei bambini non erano stati per niente buoni poiché invece di essere gentili col signor Ubaldo per natale volevano prendersi gioco di lui rendendolo ciò che più di tutto detestava: il Natale stesso.
   Babbo Natale allora pensò di dare una lezione sia ai bambini che al signor Ubaldo, e perché no prendersi anche una meritata vacanza dopo tanti e tanti anni di duro servizio; così decise che per quel Natale il signor Ubaldo sarebbe diventato Babbo Natale, insomma lo avrebbe sostituito, e perciò i bambini non avrebbero ricevuto nulla a meno che qualcuno di loro non avesse infuso nel signor Ubaldo lo spirito del Natale che non aveva mai conosciuto.    
   Il signor Ubaldo si preparava a passare la viglia del Natale solo e davanti alla televisione come aveva sempre fatto fin da quando era bambino, si augurava semplicemente che passasse in fretta la notte e che il giorno dopo il telegiornale parlasse già dell’ultimo dell’anno o del freddo record. Proprio mentre accese la tv per guardare Porta a porta si accorse di essere d’un tratto vestito di un abito rosso, da scarponi lucidi neri e di avere la solita barba certo, ma più curata e florida, di una bianchezza da fare invidia. Si guardò allo specchio: «ma chi sono, forse il Gabibbo?», ci pensò un altro po’ poi fu attirato dai rumori che venivano da fuori; fu sbalordito: nel suo giardino infatti c’era una slitta, ma ancora più incredibile c’erano nove renne che zampettavano in giardino, una delle quali dal naso rosso illuminato; quest’ultima si avvicinò e in bocca aveva una patente di guida: ora era tutto chiaro, sulla patente c’era scritto Babbo Natale permesso di circolazione aerea nei festivi. «Beh non cambia nulla di nulla se sono o non sono Babbo Natale, anzi tanto meglio: nessuno avrà doni stasera, nemmeno quei mocciosi!» disse tra sé e sé, e gli venne d’esser felice. Si mise alla tv acconciato a quel modo ad aspettare che Bruno Vespa parlasse di politica, ma anche questo gli ricordava il Natale quella sera poiché il conduttore si misi a illustrare con un plastico 1:20 la casa di Babbo Natale. Non c’era pace per il vecchio signor Ubaldo, ora ne era certo anche lui, così decise di spegnere la tv e aspettare il dolce sonno.
   Era mezzanotte anche per i bambini nelle loro case e tutti se ne stavano davanti all’albero tristi di non averlo mai visto così spoglio, pochi doni o quasi nessuno se ne stavano ai suoi piedi; eppure non pensavano di averla fatta così grossa con la storia delle letterine, e ora pentiti speravano solo che babbo natale avesse trovato un po’ di traffico in cielo per via della neve. Passò ancora un po’ di tempo ma niente: il deserto sotto l’albero. Poi altro tempo e ancora dell’altro, ma il risultato non cambiò d’un ciglio.
   Mario pensò che si doveva fare qualcosa, salvare il Natale o almeno chiedere scusa al signor Ubaldo per lo scherzo della lettera per la quale nessun bambino quella notte avrebbe ricevuto un regalo. Allora fece finta di essere troppo stanco per rimanere in piedi, diede un bacio a mamma e papà e si mise a letto, visibilmente triste. Poi si vestì pesante e uscì di nascosto dalla porta sul retro della casa, sgusciando una stanza dopo l’altra. Mamma e papà non avrebbero sospettato di nulla, era stato accorto.
   In men che non si dica si ritrovò davanti a casa del vecchio vicino, suonò al campanello e rimase di sasso quando alla porta si presentò Babbo Natale, o meglio, il signor Ubaldo per quella notte Babbo Natale. Il vecchio lo fece entrare subito, c’era troppo freddo poi gli domandò:
-          Che vuoi tu? Sei venuto per prendermi in giro, forse?
-          No, sono venuto per chiederle di salvare il Natale – gli rispose un po’ intimorito.
-          Quest’opera è merito vostro non è vero? – e s’indicò la barba e i vestiti con l’indice.
-          Sì, in effetti è colpa nostra, sono qui anche per scusarmi con lei.  
-          Non accetto le tue scuse marmocchio, vattene e lasciami solo! Odio questo giorno e odio tutti voi stupidi bambini!
   Mario non sapeva cosa dire, in quel momento il signor Ubaldo gli sembrò davvero un uomo solo, triste e con tanto bisogno di qualche amico. Allora si fece forza e continuò:
-          Ma signor Ubaldo, il natale è il momento più bello dell’anno, tutti in questo giorno devono essere più buoni con gli altri, anche con chi non è molto simpatico.
-          Basta! Non sarò buono proprio con nessuno perché nessuno lo è mai stato con me.
-          Ma signor Ubaldo, perché odiare così il natale, sarà stato un bambino anche lei, allora non lo amava il Natale?
-          No, ti ho detto di no.
   Il vecchio si sedette sulla sua poltrona e si acquietò un momento, sembrava meno arrabbiato di prima, e forse un po’ più triste. Poi il signor Ubaldo incominciò a raccontare:
-          Vedi ragazzino, quando ero piccolo persi entrambi i genitori e finii in un orfanotrofio e il giorno di Natale quando tutti gli altri bambini ricevevano regali e passavano le feste in famiglia io rimanevo da solo, senza un regalo né qualcuno a farmi compagni. Iniziai a odiare quella festa e sperare che non tornasse mai più né l’anno dopo né gli altri a venire. Mai più il natale, mai più Babbo Natale. Inoltre ricordo che quando avevo la tua età per la paura di rimanere da solo la feci a letto e gli altri bambini dell’orfanotrofio mi presero in giro per un sacco di tempo, mi chiamavano Piscialetto…
-          Piscialetto?
-          Sì, hai campito bene, Piscialetto.
-          Anch’io vengo chiamato così.
-          Allora odierai anche tutti gli altri bambini e il natale, non è vero?
-          No, ora ho capito come farli smettere. Ho capito come fare!
-          E come? Sei solo un bambino…
-          Lo farò col suo aiuto, lo farò diventando coraggioso!
-          Spiegati meglio… – lo sguardo del vecchio sembrò come quello di un bambino adesso: curioso e dolce.
-          Salveremo il Natale, signor Ubaldo, l’aiuterò nella consegna dei doni, sarò l’aiutante di Babbo Natale, e lei Babbo Natele.  Tutti i bambini saranno felici e lo sarà anche lei, vedrà.
   Il vecchio era sorpreso, ma volle dare ascolto al bambino. Di colpo le renne erano tutte in fila perfette, fuori dalla casa. La slitta colma di un enorme sacco pieno di regali. I due allora salirono su di essa e al cenno del vecchio le renne cominciarono a volare. Babbo Natele, o meglio il signor Ubaldo, e il suo aiutante, o meglio il piccolo Mario, fecero il giro di tutti i comignoli e portarono doni a tutti i bambini. Si erano divertiti come mai prima di allora. Il vero babbo Natele li aveva seguiti nascosto sotto al grembo di una renna. Così comprese che i due avevano capito lo spirito del Natale e salvato il Natale stesso, ora era felice pure lui, anche se tutto indolenzito per il viaggio scomodo, «altroché vacanza», pensò.  
   Ma ormai era mattina, era ora che i due si lasciassero e ciò dispiaceva a entrambi. Il vecchio era diventato di colpo triste perché sapeva che sarebbe rimasto di nuovo da solo e anche Mario lo era perché al signor Ubaldo si era affezionato. Allora gli disse:
-          Signor Ubaldo, se non ha altri impegni perché non viene a passare il giorno di natale con la mia famiglia, c’è posto anche per lei!
-          Dici sul serio? Beh in effetti non ho ricevuto ancora proposte convincenti, avrei qualcosa da fare ma non saprei… forse potrei farla un altro giorno?
-          La prego signor Ubaldo, ne saremmo felici!
-          D’accordo, verrò!

   E da quel giorno e per tutta la vita il signor Ubaldo passò tanti Natali felici, in compagnia del suo nuovo amico e della sua nuova famiglia. I suoi regali erano quelli che Mario e i suoi cuginetti aprivano con più piacere perché quando il cuore di un adulto è colmo dello spirito del Natale questo dona il più bel regalo che un bambino possa ricevere: il suo amore. 

lunedì 23 novembre 2015

Racconto n.6 - La perla dell'amore




Quando sulla Terra cala l’inverno, una creatura magnifica e fatata si risveglia dal suo sonno estivo: l’Angelo della neve.                                                                                                                                         Appena destatasi, l’Angelo si mise subito all’opera: riempì la sua ciotola di fiocchi di candida neve appena fabbricata, e particolare cura riservava alle sue ali di colore niveo.
In seguito, l’Angelo partì, badando a non rovesciare il contenuto della ciotola.                                                                                                                                                        Arrivata alle soglie di un villaggio, si fermò a guardare il paese dormiente.
Prese una manciata di neve e la lasciò cadere al suolo. Poi una seconda e una terza…
In quel mentre, rannicchiata in un vicolo, una bambina avvolta in una coperta osservava, meravigliata, quella angelica creatura.
 La piccola, di nome Cleo, decise di alzarsi e seguire dalla terra il volo di quel candido Angelo. Camminò per ore e ore per le strade percorse da carrozze frettolose,  tra annoiati  damerini “impacchettati” dietro frivole signore giovani e attempate. Ma quell’Angelo dov’era? Perché era svanito?
 Stanca  ed affranta per il lungo cammino,  si diresse verso il solito cantuccio in un vicolo vicino: lì poteva un po’  dormire e magari rivedere almeno sogno quell’Angelo che le sembrava amico.
Ma la fame le impediva il riposo e così,  alla ricerca di quell’Angelo,  si rimise di nuovo in cammino (in realtà si era anch’esso appisolato su di un tetto al calore di un camino) .
Ma dopo pochi passi…mmmh..che dolce profumino!
Biscotti colorati occhieggiavano tra confetti e gelatine nella piccola vetrina  un po’ appannata di una pasticceria…e cialde e focaccine appena sfornate e che torta magnifica, sembrava Babbo Natale! E quanta gente dentro, signore eleganti con vestiti merlettati, nonne pazienti alle prese con pargoletti vivaci. E un continuo ordinare: “Pasticcini con il miele, sono ottimi col thé”, “A me quelli con le mandorle, a lui un bigné!”. “Solo un attimo, un po’ di cortesia!”, rispondeva una servetta affaccendata con cuffietta e grembiule, mentre un donnone infornava e sfornava senza posa col volto rabbuffato ancora sporco di farina.
Quatta quatta, Cleo si intrufolò tra gonne e tavolini. Un topolino di pasta frolla sembrava guardarla con aria complice…una fatina di zucchero sorriderle, lieta delle sue piccole e argentate perline…<<No, non li mangerò, sono così carini! Ma sì, ecco il pasticcino che fa per me!>>. Era una stella di glassa e zuccherini, le ricordava tanto quell’Angelo con i suoi fiori di neve. <<No, stellina, non ti mangerò, prenderò soltanto un poco del tuo zucchero!>>.
 Tese la mano sul tavolino del vassoio, afferrò il dolcetto e corse fuori dal negozio.
Il donnone si voltò al rumore del vassoio capovolto, mancava un biscotto, proprio quello che  la bimba sull’uscio stringeva tra le mani appiccicose  di zucchero: <<Dove vai, piccola ladra? Torna indietro!>>.
Cleo correva a più non posso, inseguita dal donnone, che gridava “Al ladro, al ladro!”. Accorrevano gendarmi, aggirandosi impacciati, codazzi di pettegole pronte a far la morale.
Ed eccola infine entrare in un bosco, correre tra i rovi che le laceravano il vestito, sul terreno coperto di neve e di foglie.
Ma il donnone non demorde: con la gonna sollevata ed in mano un bastone, le sta alle calcagna, gridando minacciosa.
Allarmata da quelle urla, l’Angelo si volse a guardare cosa mai avesse potuto scatenare quel  putiferio infernale.
 Ed eccola scoppiare in una risata alla vista della truce e  grottesca fornaia: aveva il volto  paonazzo di rabbia mentre urlava contro una tremante figurina davanti a lei. Fu proprio questa ad attirare l’attenzione dell’Angelo: sembrava davvero disperata.
<<Poverina – pensò - così piccina e indifesa… di cosa avrà mai colpa? Ha bisogno di aiuto, così fragile e indifesa!>>.
 E così, l’Angelo calò in picchiata, prese tra le braccia Cleo, lasciando la stregaccia con un palmo di naso.
<<Chi sarà mai questa donna così bella? Forse una fata? Ma le fate non hanno le ali…Oh, sì…ma è l’Angelo che ho visto nel cielo!>>: col visino smunto, ancora rigato di lacrime, Cleo continuava a guardare, affascinata, quell’incantevole creatura.
– Come mai quella donna ti stava inseguendo? – domandò l’Angelo.
– Per questo – rispose la bambina, mostrando la stella -  Però… - aggiunse rossa in viso - io non sono una ladra!
L’Angelo la guardò piena di compassione e pensava a quanto il mondo fosse crudele, pronto a condannare un bambina che aveva preso quel dolcetto  così carino, per fame certo o forse per avere, quasi fosse una bambolina, un po’ di affetto e una muta compagnia.
- E dov’è la tua casa? Chi è la tua mamma? – le chiese, sollecito.
- Mia mamma è su nel cielo, è morta per donarmi la vita. Così mi diceva il babbo. E ora anche lui è lassù. Io prego per loro e vivo di fortuna. E loro mi aiutano sempre, ne sono sicura!
Ma tu, piuttosto – continuò, rassicurata dal suo sguardo materno-  raccontami un po’ di te. Non ho mai visto una creatura così bella !
L’Angelo si preparò a raccontare una storia che pochi avevano potuto sentire:
- Io sono l’Angelo della Neve e il mio regno è il Celeste Giardino. Non sono l’unico,  ci sono molti angeli simili  a me: l’Angelo dei fiori, l’Angelo delle gemme, l’Angelo delle stelle, di coralli e di  perle. Un tempo vivevamo a contatto con gli uomini, quando ancora non c’erano l’odio e il risentimento nei loro cuori. Ma con l’avvento di questi sentimenti, loro persero la capacità di sognare e di amare. Il loro mondo era triste per noi e così volammo via, sempre più in alto, oltre orizzonti lontani. Giungemmo oltre le nuvole e qui viviamo nella Città degli Angeli felici. Talvolta, certo, ci coglie un po’ di nostalgia per il giardino del mondo… C’è ancora amore lì ma è custodito solo nel cuore dei bambini. Ed è a loro che rivolgiamo il nostro volo. Ogni cristallo di neve diventerà una gemma e ogni gemma un fiore. Un fiore di gioia che donerà speranza, che darà luce e farà nascere un sorriso…Ed ora fammelo tu un bel sorriso, …ancora non mi hai detto qual è il tuo nome?
– Cleo, rispose la bimbetta, succhiando la glassa del dolcetto, e tu come ti chiami?  
– Posso dirtelo solo se prometti di mantenerlo segreto – al cenno d’assenso della bambina, l’Angelo proseguì – Il nostro è un nome con proprietà magiche. Il mio è Abianel. Ma usalo solo se ne hai davvero bisogno, in altri casi io sono semplicemente Nel.
-Bene, Nel, puoi aiutarmi? Non posso più tornare dopo quello che è successo e non so dove andare… - gli occhi le si riempirono di lacrime.
– Non preoccuparti, ci ho già pensato. Ora ti prenderò in braccio e ti porterò in una casa con tanti angioletti piccoli e dolci proprio come te. Lì avrai amici, abiti, tante buone cose da mangiare e un lettino caldo. E pensa che bello sarà il Natale!
La bimba sorrise, incredula… L’Angelo la sollevò delicatamente dal suolo e si librò sfiorando le nuvole. Cleo non osava guardarsi intorno, poi si fece coraggio, aprì gli occhi e…
Che meraviglia! Come era piccolo il mondo da lassù! Sembrava una biglia colorata, come quelle che donava il nonno, che girava e girava. E i pianeti, la luna…volteggiavano nell’aria come i coriandoli di un folle Carnevale!
L’Angelo, terminato il suo volo, calò su una soffice coltre di nuvole.
- Dammi la manina, fa qualche passettino e chiudi gli occhi! Ecco, ora aprili!
Una luce sempre più intensa colpì i suoi occhietti ancora stropicciati. La luce prese forma, rifulse di preziosi bagliori…Era una casa, sì; proprio in mezzo alle nuvole. Una casa di cristallo, con porticine d’argento, su di  un prato tempestato di rubini e  smeraldi. E quell’albero di luce  con le sue tante perle? Sembravano fiori di cielo, petali di arcobaleno!
- Vedi – le spiegò l’Angelo, carezzandole la testolina arruffata - in questo giardino per ogni lacrima di un bimbo innocente si accende una perla e la tua è la più bella. E quell’albero, che si illumina di oro ed argento, è eterno come sono eterni il dolore, la gioia, l’amore.
Una lacrima, ma stavolta di gioia e commozione, rigò il volto della piccola, ancora incredula.

Tra i rami dell’Albero brillò una perla. La più grande e bella. La perla dell’amore.

domenica 22 novembre 2015

Racconto n.5 - Memorie di un vecchio albero di Natale

C'era una volta un vecchio albero di Natale, riposto da tempo immemorabile in una vecchia soffitta di una vecchia casa, da anni disabitata. Il vecchio albero, nel buio della soffitta in cui era relegato, sospirava spesso di malinconia per i lontani ricordi di un glorioso passato, in cui non passava anno, che durante il periodo dell'avvento, non venisse tirato fuori per essere addobbato. Ogni anno era sempre la stessa storia: qualcuno saliva in soffitta, raramente visitata nei restanti periodi dell'anno e lo trascinava via da lì, sempre all'interno dello stesso vecchio scatolone. Dopo, venivano via tutti gli altri scatoli, che occupavano lo spazio circostante al suo, contenenti ciascuno, tutti gli addobbi necessari ad abbellirlo. Il momento più bello era quando usciva fuori dallo scatolo per essere montato ... ah ... finalmente, si poteva sgranchire un po'!

Ricordava ancora, la prima volta che era stato portato in quella casa, da una coppia di giovani sposi innamorati, che lo aveva acquistato dentro il suo scatolone, in un grosso centro commerciale. Dopo averne aperto la confezione ed averlo prelevato, i giovani sposi lo avevano posizionato in un angolo del grande salone, accanto al camino, di fronte ad una grande vetrata, da cui si potevano ammirare degli alberi veri. L'albero si era da subito sentito a proprio agio in quella grande casa, soprattutto, vista la gioia che lo circondava. Che bello vedere l'animosità di chi si adoperava per abbellirlo: dopo averlo montato ed averne aperto i rami uno ad uno, era il momento delle lucine, che venivano posizionate con cura, affinché non si notassero i cavi. L'albero era davvero contento, per l'attenzione e la cura di chi si apprestava ad addobbarlo ... poi era il momento delle palline: ce n'erano di tutti i colori e di tutte le misure. Prima, venivano posizionate quelle grandi, nei rami bassi e poi, man mano che si saliva, le palline diventavano via via sempre più piccole. Dopo le palline, era la volta degli angioletti, delle stelline, di qualche renna e di qualche babbo natale ... infine, il tutto, veniva impreziosito con dei fili argentati intercalati da deliziose catenelle dorate e da ultimo, il puntale in cima. Veniva dunque il momento in cui si accendevano le lucine e tutti rimanevano incantati ad ammirarlo. A quel punto, per l'albero era una gioia immensa: tutti gli occhi, gli erano puntati addosso. Ricordava ancora la prima volta, quando dopo i momenti concitati, seguiti all'addobbo, infine era rimasto solo nella grande stanza. Fuori s'era fatto buio e gli alberi veri non si vedevano più, ma attraverso i vetri della finestra, con le sue lucine colorate, ora poteva specchiarsi ed ammirarsi: era davvero bello e si sentiva importante. Nei giorni a seguire, poi pian piano, cominciavano ad apparire sul pavimento a lui sottostante, scatole e scatoline colorate di tutte le forme e di tutte le misure ed ogni volta, che arrivava un nuovo pacchetto, era una vera gioia accoglierlo. Così era di anno in anno e ad ogni nuovo avvento, l'albero trovava sempre delle novità: ora era un quadro che l'anno prima non c'era o un tappeto o un nuovo tendaggio  ... ma la cosa più bella in assoluto era il fatto che anche i membri della famiglia di anno in anno aumentavano. Così, da due soli che erano stati gli sposi, poi l'anno successivo furono in tre, essendo nel frattempo nato il loro primo figlio. Che gioia per l'albero vedere lo sguardo di stupore di quel piccolo esserino tra le braccia della mamma. Avere dei bimbi attorno a sé, che lo guardavano adoranti, era in assoluto la gioia più grande: che belli quei visini felici, quegli sguardi innocenti, pieni di meraviglia. L'albero pensava che non vi fosse gioia più grande che vedere dei bimbi allegri e festosi, in giro per casa. I bambini, nel giro di pochi anni, divennero tre: due maschietti ed una femminuccia più piccola e ad ogni avvento, l'albero li trovava cresciuti, rispetto all'anno precedente. Anche gli sposi, di anno in anno mutavano; mentre lui, specchiandosi nel buio della sera, nella finestra di fronte, era sempre uguale; poteva esserci giusto qualche nuova serie di lucine, perché nel tempo, alcune di esse si andavano guastando e l'ordine in cui venivano posizionati gli addobbi, non poteva mai essere identico a quello dell'anno prima, ma nel complesso rimaneva sempre lo stesso magnifico albero di sempre, di fronte al quale tutti rimanevano estasiati. Come dimenticare poi quelle festose cene della vigilia di Natale, tutte rigorosamente organizzate nel grande salone.

La padrona di casa, che aveva addobbato per l'occasione ogni angolo di quella splendida stanza, con festoni, ghirlande e coccarde varie; spostando i divani, faceva posto al tavolo, che veniva posizionato al centro della grande sala e veniva allungato, tanto che alla fine era tre volte più grande di quanto non fosse solitamente. A quel punto, il tavolo veniva apparecchiato con una splendida tovaglia, impreziosita da delicati ricami fatti a mano; quindi, venivano tirati fuori i servizi da tavola migliori: splendidi piatti di fine porcellana, preziosi calici di vetro e posate d'argento. Al centro veniva posizionato un cesto con delle stelle di natale, mentre da punta e punta troneggiavano due preziosi candelabri d'argento, con delle candele rigorosamente rosse. Il rosso, il dorato erano i colori predominanti e tutto aveva un'aria di festa. Sin dalla mattina presto era tutto un tran tran e mentre i bambini vociavano e giocavano intorno all'albero, scuotendo di quando in qua, qualche scatolo, per cercare d'indovinarne il contenuto; in cucina la madre armeggiava tra i fornelli, mentre il padre, di anno in anno sempre più ombroso e burbero, era l'unico a non essere contagiato dallo spirito natalizio, che in effetti, dopo il primo anno di matrimonio, sembrava averlo abbandonato. Così, tra il vociare dei pargoli, il grugnire del marito, che non capiva e non gradiva l'affaccendamento della moglie ... l'albero si godeva momenti di pura gioia. Del resto, stare rinchiuso in una polverosa soffitta, all'interno di uno scatolone, per buona parte dell'anno, non era per niente gradevole. Dunque era logico in quei frangenti, che il più felice di tutti, fosse proprio lui: il grande albero di Natale. Intanto la tavola si riempiva di ogni leccornia e prelibatezza e infine, la sera cominciavano ad arrivare gli ospiti, che portavano dolci e altri regali, che si andavano ad aggiungere  a quelli già presenti sotto l'albero, fintantochè, non essendoci più spazio ... venivano posizionati in altri punti della stanza.

Gli ospiti anche se mutati nell'aspetto, erano di anno in anno, quasi sempre gli stessi: nonni, zii e cuginetti. E ogni volta, il rituale era sempre lo stesso: dopo essersi allegeriti di cappotti, sciarpe, cappelli ... la prima cosa che facevano era piazzarsi davanti al grande albero, per ammirarlo e dire che era lo stesso magnifico albero di sempre. Col tempo, gradualmente, i nonni cominciarono a venire meno, finché ci fu un anno che di nonni non ce ne fu più, neppure uno. Anche i bambini, divenuti prima ragazzi; col tempo si trasformarono in adulti, mentre i due sposi, che nel frattempo erano invecchiati, erano completamente diversi da quella giovane coppia di quel primo memorabile Natale. Lui, si era ulteriormente ingrugnito, mentre lei ogni anno con lo sguardo più triste, cercava in tutti i modi possibili ed immaginabili di ricreare quell'atmosfera magica ... e sempre con più fatica dell'anno precedente, non rinunciava tuttavia ad addobbare il suo vecchio albero, che oramai aveva perso lo smalto di un tempo, ma che agli occhi incantati di lei era sempre bellissimo: era sempre l'albero dei propri sogni, quello che da piccola aveva guardato trasognata, nelle cartoline natalizie o nei film americani.

L'albero, nella solitudine della soffitta ... ricordava il suo ultimo Natale ... la sua padrona, oramai completamente incanutita, con fatica lo aveva addobbato, così come aveva fatto col resto della stanza. Tuttavia, quell'anno, nel cuore della vecchietta, c'era una rinnovata gioia: avrebbe avuto, per la prima volta dopo tanti anni, i suoi ragazzi, tutti e tre insieme, con le rispettive famiglie e i bambini ... e già ... i nonni, adesso erano loro: lei e il vecchio, burbero marito. Era da tempo immemorabile, infatti che i figli, non erano contemporaneamente presenti in quella casa, per un evento lieto come quello del Natale: sarebbe stato bellissimo! Per l'occasione, il pavimento sotto l'albero, era stato riempito di regali, soprattutto destinati ai più piccoli. Lei nei giorni antecedenti la vigilia, aveva preparato dolcetti vari e ora, come sempre, armeggiava in cucina tra i fornelli, mentre il marito, nella sua apaticità, oramai rassegnato, se ne stava in disparte sul divano a trastullarsi col portatile. Finalmente, venne la sera e arrivarono gli attesi ospiti coi loro bambini, che felici si precipitarono davanti all'albero, soprattutto per sbirciare tra i regali. Era bello riavere l'incontenibile gioia, di vocianti pargoli, che allietavano con il loro entusiasmo e la loro allegria, quella casa ... sembrava essere tornati ai vecchi, bei tempi. La cena procedette come sempre, tra varie portate, una più squisita dell'altra! La vecchia madre, aveva cercato di accontentare i gusti di tutti ed in effetti, tutti, sembrava avessero gradito, soprattutto i più piccoli! Dopo dolci e leccornie di ogni sorta e l'immancabile caffè  ... il tavolo, sparecchiato, ricoperto con il datato panno verde, usato alla bisogna; fu trasformato in tavolo da gioco. Al fine di coinvolgere i bambini, si cominciò col "mercante in fiera", seguito dall'inossidabile "tombola". Verso le 23:00, come sempre, si decise di mettere fine ai giochi, per poter cominciare ad aprire i regali: essendo tanti, cominciare dopo la mezzanotte non era infatti consigliabile, vista la presenza dei piccoli, che all'improvviso potevano essere colti da sonnolenza ... così, come da tradizione, uno ad uno vennero  prelevati gli scatoli, contenenti ciascuno un biglietto col nome del destinatario e dei donatori. Per primi, vista l'impazienza ... erano stati i bambini ad aprire i loro doni, che erano anche i più costosi. Così, una volta accontentati i piccoli, che felici si erano riuniti in un cantuccio a collaudare i giocattoli ... fu poi il turno dei grandi. A mezzanotte, si fece lo stacchetto per l'augurio ed il brindisi con lo spumante e la pausa panettone e poi, si ricominciò coi doni. I vecchi, ricevettero regali tipici da nonni: dopobarba, cravatta, berretto di lana, camicia da notte ... la vecchietta, quella sera con lo sguardo velato da lacrime, era commossa, non per i regali in sé ricevuti, ma per il ricordo che questi ultimi, avevano suscitato in lei: si ricordava infatti, quando giovane sposina coi figli piccoli, era lei che faceva quel genere di doni ai propri anziani genitori  ... a quei nonni, che da tanti anni, oramai non c'eran più. Dopo avere terminato ... vista l'ora tarda che si era fatta e i bambini già mezzo addormentati, ad uno ad uno le famigliole, con un enorme sacco ciascuna carico di regali, si congedarono dai vecchi genitori, lasciando come sempre, il salone in una baraonda incredibile, che l'indomani, la vecchietta avrebbe sistemato ... quello fu l'ultimo Natale, che il vecchio albero ricordava. Da allora, passate le feste, dopo essere stato riposto in soffitta nel suo scatolone, non era stato più rimosso.

Sulla casa era piombato un silenzio spettrale. L'unica compagnia per il vecchio albero, era qualche topino, che aveva in più punti rosicchiato il vecchio scatolo, che ora appariva forato. Dopo anni ed anni trascorsi in triste solitudine, in compagnia di quei vecchi nostalgici ricordi, un giorno, il vecchio albero udì per la prima volta dopo tanto tempo, dei rumori provenire dal piano sottostante. Quei rumori, talvolta abbastanza forti, si protrassero per giorni e giorni ... in "cuor suo", l'albero cominciò a ben sperare e la sua speranza fu ben riposta. Infatti, all'approssimarsi di un nuovo periodo d'avvento, il vecchio albero, all'interno del suo bucherellato scatolone, fu trascinato via. Quando fu tirato fuori, venne ispezionato da una giovane coppia, che con un piccolo marmocchio tra le braccia, decise che ancora poteva andare bene! L'albero, tirò un sospiro di sollievo: finalmente si ricominciava! 


venerdì 20 novembre 2015

Racconto n.4 - La vaccinazione antiinfluenzale

Quando la Befana aprì la porta della stanza d’albergo, rimase esterrefatta. Disseminate negli angoli della stanza erano ben visibili bottiglie vuote di rum e tequila, mentre il caos regnava sovrano all’interno dell’angusto anfratto della locanda “Il gallo d’oro”, situata sulle rive del  piccolo borgo di pescatori nel golfo del Messico. L’olezzo era nauseabondo: si fece coraggio tappandosi il naso con una mano e si addentrò all’interno. Per prima cosa, scorse due giovani prostitute seminude che svegliò, infastidita, con una serie di calci mirati al ventre, costringendole ad abbandonare il locale, non senza essersi sorbita una serie di imprecazioni in volgare spagnolo. Poi, provò a sollevare le coperte per scorgere se vi fosse rannicchiato Babbo Natale; non si era sbagliata: era proprio sotto le coltri, in evidente stato di ebbrezza. Scosse il capo, in cenno di diniego, e provò a cercare di rianimarlo: l’odore del cibo avariato, mescolato con il sudore di quei corpi, e l’aroma d’alcool, non contribuivano al risveglio del vecchietto più famoso del mondo. Aprì, così, l’unica finestra, ed una ventata di aria fresca contribuì al risveglio di Santa Claus. “Per favore, Babbo Natale, rimettiti in piedi: è la vigilia di Natale, e devi ancora iniziare le consegne. Se non ti riprendi immediatamente, manderai in frantumi tutto il lavoro di quest’anno!” L’uomo si voltò dall’altra parte: era completamente nudo, sudaticcio, e bello sbronzo. Uno strato di adipe, anomalo e malsano, lo avvolgeva e nascondeva il suo corpo. “Lasciami stare, vecchia Befana. Non ci penso neanche ad alzarmi da qui. Del resto, anche se volessi, non ci riuscirei: ho bevuto troppo, e non supererei la prova di  nessun etilometro, neanche nei paesi più tolleranti.” La Befana incalzò: “Dimmi almeno dov’è la tua ultima renna: posso provare a montare la tu slitta, se tu, nel frattempo, provi a farti una bella doccia calda.” Il vecchietto sorrise, ed indicò il tegame di stufato al centro della tavola, evidente oggetto delle abbondanti libagioni della sera precedente. “Non ci posso credere! Ve la siete mangiata, tu e quelle due sgualdrine?” “La renna non è male: all’inizio è un po’ dura, ma, condita con patate e cipolla, si gusta di più, e va giù con piacere con tequila e rum. Alla fine, quando si raffredda, è, addirittura, quasi gommosa. Ed ora, amica mia, lasciami riposare: la sto ancora digerendo.” La Befana era sconsolata: “Ma lo sai cosa significa, per l’organizzazione, questo tuo ammutinamento? Ci manderai tutti in rovina! Come faccio adesso?” La povera donna era in preda al panico, perché non riusciva neanche ad immaginare un disastro di tali proporzioni, e capiva che il tempo giocava nettamente a sfavore, contro di loro. “Chiama Carlos!” Bofonchiò Babbo Natale, e la Befana inorridì: “Questo mai! E poi, dove lo trovo, il numero di telefono?” “Nella rubrica del mio telefonino, alla voce Carlos. E’ in tasca della mia giacca rossa, con il pelo bianco: se le ragazze non ci hanno versato dentro del rum, può darsi sia ancora funzionante.” La donna agì febbrilmente, e tirò un sospiro di sollievo nel trovare il cellulare, poichè il vecchio si era definitivamente assopito, e non mostrava nessun segno di ripresa. La chiamata squillò a lungo, prima di ricevere il segnale di contatto. “Pronto?” Chiese una voce metallica. “Sono la Befana: ho un grosso problema.” Passò un attimo che sembrò un’eternità. “Sono Carlos, e risolvo problemi.” Rispose la voce metallica. “Prova con questo, allora: Babbo Natale è ubriaco fradicio, semisvenuto, dopo una notte di fuoco con due prostitute. Non ci sono più renne, non trovo la slitta, e le consegne non sono ancora iniziate. Puoi davvero fare qualcosa, o devo avvisare l’organizzazione?” “Tranquilla, bella muchacha, penso a tutto io, a patto che tu tenga la bocca chiusa. Stanotte a mezzanotte tutti i bambini e tutte le bambine del mondo riceveranno i loro regali, ed in più ci metto, a titolo gratuito, una partita  di un nuovo tipo di droga per ogni famiglia. Se non la useranno i piccoli, potrà sempre far comodo ai loro genitori. Ma tu devi stare muta con l’organizzazione, e tenere nascosto Babbo Natale, o passerai davvero un brutto quarto d’ora. Lo sai che io non scherzo mai!” “Ma sei impazzito? Droga la notte di Natale? E’ contro ogni etica civica e morale.” “Tranquilla, bella muchacha: è una droga che abbiamo già sperimentato nei vaccini antinfluenzali, ed abbiamo eseguito una vaccinazione massiccia e globale senza che nessuno si sia mai lamentato; solo qualche nazione arretrata ha protestato, ma poi ha dichiarato di averla tolta dal commercio, e quegli stupidi l’hanno bevuta. Quando dai qualcosa gratis, può essere la più nefasta schifezza, tutti la ingurgitano avidamente. Lascia fare a me, e continueremo ad avere il mondo sotto i nostri piedi. Tu, piuttosto, fai quello che ti ho detto, e non mi seccare più: bada al vecchio, tienilo occupato per tutta la vigilia, ed avrai il tuo tornaconto.” Così, come era iniziata, la telefonata si interruppe. Superato un attimo di perplessità, la Befana diede un’altra rapida occhiata in giro, e capì di essere di nuovo padrona della situazione. Si avvicinò al talamo, appoggiò un piede scalzo su una guancia del paffuto addormentato, e lo scosse energicamente. L’uomo imprecò, prima di girarsi, attratto dalla gamba affusolata e seducente che gli si parava al suo sguardo. Per attirarlo nella sua trappola seduttrice, la Befana scostò la gonna su di un fianco, mostrando un malizioso tatuaggio a forma di farfallina nella zona inguinale. Babbo Natale provò a cercare di sfiorarla con un braccio, ma era troppo sbronzo. “Tranquillo, amico mio. Vengo io sotto le coperte con te, e potrai gustare il più bel regalo di Natale di tutta la tua vita: sono sicura che ti ricorderai di questa vigilia per un pezzo, abbiamo tutta la notte da trascorrere insieme.” Santa Claus sorrise inebetito, mentre a fatica rotolava su di un fianco per creare lo spazio per accogliere vicino a sé quel dono inaspettato.
Le onde del mar dei Caraibi, nel golfo del Messico, si adagiavano placide sulla riva, mentre tutte le luci della locanda “Il gallo d’oro”, si spensero ad una ad una, fino a quando una coltre di buio avvolse l’angusto e sperduto borgo di pescatori.
Al primo albeggiare, la Befana, che non aveva preso sonno per tutta la notte, sollevò delicatamente gli artigli della mano con cui Babbo Natale teneva avvinghiato il suo fondo schiena, posandoli delicatamente su di una zona vuota del materasso. Si sedette silenziosamente ai bordi del letto, cercando di recuperare il reggiseno. Il vecchio più anziano del mondo, continuando a ronfare saporitamente, sollevò inconsciamente la mano, alla ricerca dell’oggetto del suo desiderio. Non trovandolo vicino a sé, provò quasi a sbirciare da un occhio. Per evitare che si svegliasse, la Befana gli donò il suo perizoma, acquietandolo prontamente. Fu così in grado di raggiungere e godersi una meritata doccia, anche per scrollarsi dalla pelle l’olezzo del rum e del sugo di renna, cipolle e patate trasmesso da Babbo Natale. Aveva adempiuto all’impegno preso con Carlos, tenendo occupato il vecchio per tutta la notte, e quindi sapeva di avere assolto al suo compito. Se avesse recuperato i suoi indumenti, o almeno anche solo una parte, ne avrebbe approfittato per dileguarsi dalla camera di quella squallida locanda. Stava per iniziare il sacro giorno di Natale: in tutte le case del mondo fervevano i preparativi per il pranzo più importante dell’anno, e lei doveva preparare ancora molte cose prima del sei gennaio. La notte trascorsa con Santa Claus l’aveva prosciugata, perché il vecchio, contrariamente a quanto si potesse supporre, ci sapeva ancora fare sotto le lenzuola, e, quando la giostra partiva, lei non si tirava certo indietro. Per cui quella doccia, oltre che essere ristoratrice, si poteva definire quantomeno salvifica. Quando però le sue vellutate cosce erano ancora insaponate, un rumore sospetto (come di passi sul selciato) la distolse dalle sue preoccupazioni. Ci manca solo, per il sacro giorno di Natale, il solito guardone di turno, per dare un ulteriore tocco di schifezza dopo quella notte troppo squallida! Notò che tra le assi di legno che formavano il muro interno della camera filtravano i primi raggi del sole: quindi era possibile spiare le sue grazie dall’esterno. In effetti, era ancora una ragazza piacente, con un fisico da modella, ben scolpito e ben curato, e poteva destare l’interesse dei soliti perversi curiosi. Magari il sacro giorno di Natale non tutti gli esseri umani erano poi particolarmente buoni… i passi nel selciato si udivano, però, sempre più nitidamente, e non doveva trattarsi più di una sola persona. Forse era meglio sbirciare: non era opportuno che tutto il mondo venisse a conoscenza di quanto successo la notte scorsa, in quanto la Befana che si sbatte Babbo Natale non è un argomento di cui andare fiera. Curiosamente, dalla finestra del bagno la visuale era perfetta: bambini! Una decina di fanciulli, silenziosi ma organizzati, si aggiravano intorno al cortile della locanda “Il gallo d’oro”. Chiquitos: concluse la ragazza. Nient’altro che chiquitos, una banda de ninos, ragazzi sbandati senza nulla da fare, piccole creature di strada cresciute senza l’aiuto di una famiglia, privati della festività natalizia, senza alcuna istruzione o cultura. Notando che il vecchio porco ammirava il suo deretano mentre si sporgeva dalla finestra, la Befana fu lesta a recuperare il perizoma per coprirsi; poi, con noncuranza, provvide ad allacciarsi anche il reggiseno, onde sancire ufficialmente la fine dei bagordi. “Ma cos’è questo odore di bruciato?” Chiese sbadatamente Santa Claus, avvolgendosi sotto le lenzuola. Un pericoloso crepitio di fiamme che ardono accompagnava l’acre olezzo di legna bruciata. In effetti, anche la ragazza concordò che stava per accadere qualcosa di strano: forse era meglio tenere sotto controllo la banda dei ninos. Quando lo scoppio, però, squarciò il cielo, e le fiamme lambirono immediatamente il materasso, Santa Claus compì un balzo così rapido e veloce da stupire la sua stessa concubina. “Al fuoco, al fuoco!” Gridò, visibilmente impaurito, mentre si schiacciava la barba con le dita per spegnere i primi focolai dell’incendio, visibili sul corpo. “Quei dannati ragazzi hanno cosparso la locanda di benzina. Ci vogliono bruciare vivi, quei maledetti!” La Befana lo osservò correre da una parte all’altra della stanza tutto nudo, mentre le fiamme lo sfioravano, e si rivolgevano minacciose anche verso lei. “Smettila di frignare, lurido panzone. Copriti con qualcosa di decente, e corriamo fuori da questa vecchia baracca, priva che le travi della locanda ci crollino in testa!” “E da dove pensi di uscire, vecchia befana? Non vedi che la porta d’ingresso sta bruciando!” Babbo Natale frignava, quasi: sembrava proprio uno di quei bambini a cui non fosse stato consegnato il regalo. “Dalla finestra del bagno: è l’unica stanza protetta, e l’acqua della doccia può tenere a bada le fiamme, almeno per un po’.” “E, secondo te, l’apertura è sufficientemente larga per lasciarmi passare?” Il vecchio più anziano del mondo sembrava tornato un bimbo piccolo, ora. “Certo che ci passerai, se non vuoi fare la fine della tua ultima renna. Saresti proprio un pranzo di Natale originale: Babbo Natale al barbecue non l’ha proprio mai assaggiato nessuno!” Ciò detto, la ragazza, in mutande e reggiseno, balzò fuori dall’angusto anfratto in una sola frazione di secondo, anche perché l’aria, all’interno della stanza, cominciava a diventare irrespirabile. A Santa Claus non restò che seguirla, sconfortato per dover abbandonare il suo tradizionale costume alle fiamme, ma rassegnato per non avere nessun’altra alternativa al piano congegnato dalla bella ragazza. Raggiunsero quasi la riva della spiaggia, sufficientemente lontani dallo scoppiettio del fuoco, attoniti per essere rimasti vittime di un inaspettato attentato piromane. Ma, mentre, confusi ed attoniti, cercavano di coprirsi come meglio potevano, ecco materializzarsi gli autori di quel gesto malsano, che poteva costare la vita di qualche innocente, se non fosse stata la notte della vigilia di Natale, con tutti i clienti della locanda impegnati a casa propria con le loro famiglie, e l’hotel completamente vuoto, tranne che per la stanza incriminata. “Dannati bambini!” Li apostrofò Santa Claus. “Ma cosa vi è saltato in mente? Poteva scapparci il morto! Avete tentato di distruggere una locanda, e, quando arriveranno i gestori, pagherete caro questo gesto infame!” Il vecchio più anziano del mondo, nel pronunciare queste parole, scrutò i ninos ad uno ad uno, e non potè sfuggirgli lo sguardo di collera dipinto sui loro volti. “Come mai non siete tutti a casa, a gustare il pranzo di Natale, e a giocare con i doni ricevuti ieri sera?” Chiese, mentre cercava di coprire con i peli bianchi le parti più intime del suo corpo: non doveva essere un bello spettacolo così nudo, per tutte quelle muchachitas. “E’ proprio questo che ha scatenato il nostro odio verso te:  quest’anno ci hai consegnato i regali tutti sbagliati!” Rispose il ragazzo più grande del gruppo, tale Ernesto, quello che, presumibilmente, doveva essere il capobanda. “Come sbagliati?” Li interrogò la Befana, ed era splendida, alle prime luci dell’alba, sotto i primi raggi di sole, con i lunghi capelli sciolti sulle spalle. “So per certo che stanotte i doni sono stati tutti consegnati, con un regalo speciale per i genitori di ogni famiglia.” “Sì: ma tutti sbagliati!” Ribadì una bambina, di soli otto anni, particolarmente risentita. “Aspettavo Cicciobello con l’ombrello, e ho ricevuto due Power Rangers, quello rosso e quello verde, ed un fucile che spara pallini di gomma verso la parte opposta da quello che ho mirato!” “Ed io cosa dovrei dire?” Si sfogò Ernesto. “Avevo chiesto una pistola ad aria compressa ed ho ricevuto un set di trucchi da spiaggia, più un’intera famiglia di pinguini gonfiabili da far giocare in riva al mare. Ti sembrano giochi adatti alla mia età?” Qualcosa nella distribuzione di Carlos non deve essere andata per il verso giusto, e se questo intoppo è così evidente in questo angusto e sperduto borgo di pescatori del golfo del Messico, non oso pensare cosa possa essere successo in tutto il pianeta: congetturò la Befana, assolutamente a disagio senza le sue vesti, in compagnia di quel lurido essere, colpevole di questa scandalosa interruzione di servizio. Dovrò confrontarmi di nuovo con Carlos, e questo può essere estremamente pericoloso: comunque, la ragazza optò per affrontare in seguito questo inaspettato contrattempo. Prima era più urgente placare le ire dei ninos di strada. Si avvicinò loro, ed iniziò ad accarezzarli dolcemente, uno ad uno, cercando di lenire l’evidente collera. “Ernesto: scambia il tuo regalo con la bambina, e mi sembra che così potreste essere più soddisfatti. Comunque, il sei gennaio sarò di nuovo tra voi, per donarvi il mio carbone dolce, le mie delizie, ancora altri giochi. Tranquillizzatevi: quello che non è andato bene stanotte, sarà sistemato per tale data. Ora, però, tornate dalle vostre famiglie, per trascorrere in serenità la giornata più buona dell’anno.” I bimbi si lasciarono cullare da quei dolci sogni: solo la bimba più piccola, guardando negli occhi la stupenda ragazza in biancheria intima, si lasciò scappare un pensiero ricorrente tra tutta la banda: “Così, però, non ci vendicheremo di Babbo Natale: è ancora lì, bello grassottello, e non ci ha neanche chiesto scusa per gli errori che ha commesso, e poi, non ha il costume: ha solo la barba.” “E’ vero.” La Befana si chinò, per avvicinarsi alla bimba, e contemplarono insieme quell’enorme ciccione, impegnato a cercare di riprendersi dalle orge a cui aveva partecipato la notte precedente, mentre bofonchiava a denti stretti frasi sconnesse in dialetto norvegese: cercava tra le macerie del rogo qualcosa con cui coprire le sue vergogne. “E’ giusto quello che hai notato: ma deve ancora fare i conti con me, e ti assicuro che non la passerà liscia.” La Befana sorrise, con un garbo che conquistò e convinse tutti i bambini: lentamente, si avviarono verso le loro abitazioni, sparse nel piccolo borgo di pescatori. “Ridammi il telefonino: ho urgenza di ricontattare Carlos, deve avere combinato un gran bel pasticcio.” Santa Claus sorrise, beffardo. “Non so neanche dove sia finito, in questo trambusto, il mio telefonino. Mi accontenterei di tornare in possesso, almeno, delle mie mutande.” “Dunque ti sei ripreso dalla sbornia colossale?” La ragazza sperava che il suo complice avesse ristabilito parte delle funzioni cerebrali, per elaborare un piano alternativo al loro mandato. “Ripreso è una parola grossa: ma che è successo stanotte? Ricordo solo la paura che ho provato quando le fiamme lambivano il materasso, un gran mal di testa, ed il tuffo fuori dalla finestra del bagno della locanda per sfuggire al rogo. Corpo di mille slitte: dov’è la mia renna?” la Befana lo riaccompagnò docilmente all’interno di quello che era rimasto della loro stanza d’albergo,  dopo l’incendio. Il rogo era stato domato dai gestori dell’impianto, e la situazione sembrava stesse tornando alla normalità. “La tua renna te la sei cucinata ieri notte, in compagnia di due giovani prostitute, che ho allontanato io stessa dalla camera. Eri talmente sbronzo di rum e di cibo che ti sei inconsciamente dimenticato di andare a fare le consegne proprio alla vigilia della tua festa. A proposito, dove hai messo la slitta?” Il vecchio più anziano del mondo non aveva ritrovato le sue mutande, evidentemente arse nell’incendio, ma, in compenso, aveva recuperato gli abiti di rappresentanza, per la verità leggermente affumicati. Se li infilò come poteva. “Ho barattato la slitta con un narcotrafficante, mio conoscente, per ottenere in cambio le due ragazze e un po’ di roba buona. Avrò diritto anch’io di festeggiare!” “Sì: ma non l’unica notte in cui tutti ti aspettano. Se abbiamo dei privilegi, non mi sembra proprio il caso di buttarli al vento proprio la nella sola occasione in cui ci vengono richiesti.” “Quindi, cosa suggerisci di fare?” Babbo Natale la scrutò, come inebetito. La Befana estrasse il suo arnese di volo, e lo invitò a seguirla. “Monta dietro sulla mia scopa: voleremo da Carlos, e cercheremo di mettere la parola fine a questa squallida e penosa vicenda.” “Si scopa?” Si risvegliò improvvisamente Santa Claus. “Ma certo che ti monto subito, bella ragazza, e sarai tu ad implorare la fine di tutta la vicenda.” Un sorriso attraversò il volto della stupenda fanciulla, quasi un colpo di fulmine, mentre la mano di Babbo Natale accarezzava maliziosa il tatuaggio a forma di farfallina nella zona inguinale. “Tieniti stretto: la mia scopa non è comoda come la tua slitta, ed il viaggio fino da Carlos è lungo e turbolento!” Scomparvero insieme, in alto nel cielo, avvolti dal riflesso azzurro del Mar dei Caraibi.