lunedì 16 novembre 2015

Racconto n. 1 - God Rest Ye Merry, Gentlemen




26 Dicembre, h. 17.00: LUI

«Dio vi doni felicità e riposo, signori / e che nulla al mondo possa costernarvi»

Le note di un tradizionale canto natalizio inglese risuonano in serene armonie, scivolando intorno alle colonne dipinte e volando tra le volte affrescate dei soffitti.
L'antica chiesa gotica di San Domenico, situata in pieno centro storico, è quasi deserta: non c'è tanta gente in giro nel giorno successivo al Natale, alcune persone passano oltre, coloro che entrano sostano solo qualche minuto poi escono, pronti a rituffarsi nel tran-tran delle brevi ferie festive.

Di fuori le luminarie - stelle comete gialle, scritte rosse che dicono "Auguri" e sagome verdi di abeti - rifulgono in alto, appese a fili invisibili; di dentro solo pochi fari sono accesi, creando nella chiesa una gradevolissima penombra che ben si adatta alla musica diffusa.
All'inizio della navata centrale, su uno dei banchi a sinistra, siede un uomo. Se ne sta quasi sull'estremità del rigido asse di legno massiccio, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa tra le mani: la sua schiena incurvata è a tratti scossa da un brivido appena percettibile.
Egli è giunto lì intorno alle quattro e da lì non si è più mosso: che sia assorto in preghiera o in personali riflessioni nessuno lo potrebbe dire. Due volte ha sollevato lo sguardo e, in entrambi gli attimi, un lampo di sofferenza è balenato nei suoi occhi.
Lassù sull'altare, nella direzione in cui l'uomo ha guardato con esitazione, come se la visione fosse per lui dolorosa, si trova un piccolo Presepio: statue di fattura antiquata e dai colori solo un po' sbiaditi dal tempo raffigurano la Sacra Famiglia e gli animali domestici che, per tradizione, hanno scaldato con il loro fiato il Bambinello.
Per una terza volta l'immoto visitatore alza la testa: contempla per un istante quella creatura di legno intagliato che sta lì come un bimbo vero, con le piccole braccia spalancate, un tranquillo e dolce sorriso sul viso roseo, una camiciola di stoffa bianca sul corpo, circondato da vasi di stelle di Natale e piante di agrifoglio. Lo fissa con trasporto, quasi a voler comprendere ciò che resta un mistero: gli occhi dilatati, la bocca socchiusa in un anelito, il busto proteso in avanti, come se non solo nello spirito ma anche fisicamente gli fosse necessario raggiungere qualcosa che, invece, pare rifuggire.
Con un sospiro soffocato egli si abbandona di nuovo nella posizione iniziale, serra le dita intorno alla fronte e il nome di Dio gli esce dalle labbra insieme a una domanda disperata: «Perché?».

«per salvarci tutti dal potere del diavolo / quando noi ne eravamo stati fuorviati»

Ma salverà anche lui? Salverà anche quest'uomo dall'infelicità, quando ogni certezza della sua vita si è sgretolata ed ogni sicurezza è crollata come un castello di carte? Dipende forse dall'avere così poca fede, perché è facile sentirsi in pace con il Cielo nei momenti di luce, ma nei momenti bui, invece... ma può quel Figlioletto celeste restituire la quiete e la felicità? Può Egli rimettere a posto ciò che all'occhio dell'uomo pare distrutto irreparabilmente? Può riaccomodare un vetro infranto, un ramo spezzato, un cuore andato in pezzi?
Era Natale, ieri, e lui è rimasto tutto il giorno chiuso a chiave in una stanza d'albergo: non è neppure andato a Messa, e non perché non lo volesse... ma perché non c'era lei, e da quando lei non è più nella sua vita sembra che la vita stessa abbia smarrito ogni senso.

...

26 Dicembre, h 16.47: LEI

La donna ha ordinato un caffè più di mezz'ora fa, ma il liquido nero è sempre lì nella tazzina e ormai sarà gelato; lei, seduta a un tavolino d'angolo nel tepore di un bar, osserva la via quasi vuota: vi scorge solo pochi passanti frettolosi, ancora un po' storditi dai bagordi del Natale, imbacuccati in cappelli e cappotti.
Il gomito sull'orlo del tavolo e il mento nell'incavo della mano, ella si è dimenticata del caffè e di tutto ciò che la circonda: una morbida sciarpa di lana bianca le cinge la gola, il viso è un po' arrossato dal caldo ma lei non se ne cura. Osserva i radi fiocchi di neve che hanno iniziato a scendere da un po': creano uno strano effetto contro le luminarie, prima di scomparire nell'aria e sciogliersi sull'asfalto sporco...

«"Dunque non abbiate paura" disse l'angelo / "e che nulla al mondo vi spaventi"»

Si riscuote come da un sogno quando la canzone che suonano alla radio la raggiunge: è un inno inglese che ha sentito di rado ma che le ha sempre trasmesso un senso di pace e rinnovata sicurezza, e ogni parola del testo diventa una Verità con la V maiuscola, qualcosa di cui non c'è ragione di dubitare, qualcosa a cui è necessario credere perché è di certo così.
Eppure, in quel momento, lei ha paura: una paura viscerale, un terrore che le attanaglia l'anima con artigli freddi e affilati, un'angoscia che la tormenta da giorni, da settimane.

«In questo giorno è nato un Salvatore / di puro e virginale splendore»

La bocca della donna si piega in un sorriso lieve e malinconico: puro e virginale come quella neve bianca, candida, immacolata che scende lentamente dai cieli più alti... così era, e così doveva restare il loro Amore, un Amore perfetto e solido, un Amore senza falle né crepe... ma poi, proprio come quei fiocchi impalpabili e bellissimi, è scivolato giù, sempre più in basso, e infine si è disfatto sul duro suolo e si è insozzato, smarrendo per sempre il puro e virginale splendore...

...

27 Novembre, h. 19.30: LEI/LUI

«Sei impazzita, per caso?».
«Mi prendi per stupida? Hai un'altra e credi che intenda sopportarlo?».
Voci rabbiose si alzavano dalla villetta sull'angolo della via: urli di donna e grida d'uomo, e già da qualche mese i vicini udivano anche senza volerlo le feroci liti che, nelle ultime settimane, erano all'ordine del giorno.
Per altri cinque minuti gli insulti e le recriminazioni continuarono, in un crescendo che faceva temere il peggio: quanti delitti cominciano così, con discussioni sempre più violente fino a sfociare nel sangue e nella tragedia! Ma quello era un quartiere residenziale, lì certe cose non accadevano e gli abitanti dei villini confinanti si guardavano bene dall'intromettersi, e tantomeno dal chiamare la polizia.
Quella sera, però, di colpo com'era cominciato, il litigio ebbe termine: l'uomo venne spinto a forza fuori dalla casa e la donna, prima che lui potesse reagire, gli scagliò addosso una valigia piena che s'incagliò sul vialetto d'ingresso e cadde sulla pietra.
«Vai via! Non voglio vederti mai più!». E poi, a soffocare le proteste, ecco il frastuono della porta sbattuta con rabbia, il rumore della serratura blindata, e infine più niente, solo un assordante silenzio.
Mai più... mai più... nella luce livida della sera, sotto una pioggia che pareva una cascata inarrestabile di aghi appuntiti, quelle parole gridate con accento rabbioso e pieno di un sordo dolore sembravano riecheggiare senza sosta, e le finestre illuminate delle case vicine erano altrettanti occhi che si facevano beffe dell'uomo, perché gli altri, almeno in apparenza, sembravano condurre una vita tranquilla.
Egli aveva le chiavi in tasca ma non le toccò; rimase immobile e silenzioso sotto l'acqua battente, provando un morboso e disperato piacere nel sentire il freddo intirizzirgli le ossa e procurargli brividi di febbre. Il cappotto, che non aveva neppure avuto tempo di togliersi quand'era arrivato, era fradicio, i pantaloni nulla più che una macchia scura e umida, la pioggia gli colava sul viso e sul collo e, forse, gli dava l'illusione che nient'altro gli bagnasse le gote: un uomo non deve piangere, mai, e lui lo aveva tacitamente promesso a lei, in un tempo che sembrava tanto lontano. «Sarò forte per te perché è l'unico modo che ho per espiare. Piangi, tesoro mio, piangi tutte le tue lacrime e io sarò qui a raccoglierle e a darti il mio petto su cui nascondere e affogare il tuo dolore».
E ora chi ci sarebbe stato per lui, per raccogliere e annegare il suo dolore? Un bicchiere di alcool in un bar, un solitario letto in un hotel...
E lei, scivolata a terra con la schiena contro la porta, seduta sul freddo pavimento di marmo, fissava un punto di fronte e ascoltava la pioggia che cadeva, cadeva, cadeva come un'ipnotica ninnananna... e gli ansiolitici e i sonniferi facevano effetto... ma quante gocce per dimenticare? Quante, per non gridare più? Per ritrovare una pace che pareva ormai un relitto del passato, una serenità all'apparenza non più raggiungibile... ma era tutto finito. Mai più.
Erano lui e lei, lei e lui, ma non più loro: mai più.

...

26 Dicembre, h. 17.01: LUI

«e lasciarono le loro greggi al pascolo / nella tempesta, nell'uragano e nel vento»

L'uomo, con il viso celato tra le mani, piange silenziosamente.
Potrebbe esserci la chiesa piena di persone e lui non se ne curerebbe; per un misericordioso disegno divino, però, o per caso, nessun occhio curioso si trova lì per osservare quelle lacrime.
Tempeste, uragani e venti di varia intensità si sono abbattuti sulla sua vita, e da tutti è riuscito a venire fuori... ma non dall'ultimo, terribile dramma: sette mesi prima, quando la più grande gioia si è bruscamente tramutata nel più grande dolore, quando ha avuto inizio la fine.
Ogni giorno il ricordo gli sta davanti, giudice eretto e accusatore, impresso a fuoco nella coscienza: una sciocchezza pronunciata per gioco, una distrazione, un singolo e breve secondo che ha cambiato tutto.

«e andarono senza indugio a Betlemme / per trovare il Bambino Benedetto»

Invece il loro bambino, di cui non sapevano neppure ancora se fosse maschietto o femminuccia, il loro primogenito che avrebbe dovuto nascere proprio nel periodo di Natale, se n'è andato a due mesi, due mesi dopo essere stato concepito, senza aver potuto aprire gli occhi alla luce del sole, senza aver potuto allungare le piccole braccia o stringere i pugnetti paffuti, senza aver potuto schiudere la bocca rosea in un sorriso verso i suoi genitori. Ed è stata colpa sua, tutta colpa sua perché si è girato verso di lei e non ha guardato la strada mentre guidava, e così per evitare di schiantarsi contro un camion sono finiti fuori strada, e l'attimo dopo... il sangue sulla fronte, il corpo inerte trattenuto dalla cintura e abbandonato di lato, e poi il panico, le sirene, l'affanno...
Egli si passa con furia il dorso della mano sul viso, asciugandosi gli occhi e il naso, e sa quale misera immagine dà di sé: lacrime violente che devono uscire per non esplodere dentro il cuore, e tuttavia non vi è mai stato tempo per versarle perché, nel desolato silenzio del dopo, ci sono state le lacrime di lei da asciugare, c'è stata la testa di lei da accogliere sul proprio petto, c'è stato quel corpo singhiozzante di donna da stringere tra le braccia... e infine c'è stata la colpa di lui che bruciava come fuoco.
È accaduto poco tempo dopo l'incidente, quando quel terribile rimprovero ha preso forma, insinuandosi tra di loro come un veleno lento ma letale: la colpa, l'orribile parola che ha incominciato a perseguitarlo, ed era un rimprovero vero e meritato, e lui è caduto in una tristezza non priva di una speranza chiamata Tempo. Il tempo che risana ogni ferita avrebbe steso una nebbia d'oblio anche su quella ferita sanguinante, e se non si poteva dimenticare completamente si poteva, anzi si doveva tornare a vivere con un cuore più leggero e un'anima riappacificata.
Ma così non è stato: sono umani, e non vi era una sola sofferenza in quella casa ma ve n'erano due, e anche lui era stanco e provato, e così i litigi, le discussioni, le liti scoppiavano per una parola, un gesto, uno sguardo sbagliati. Lei prendeva medicine su medicine e lui avrebbe voluto scagliare nella spazzatura tutti quei flaconi, avrebbe voluto scrollarla e stare di nuovo con lei, di notte, e ricostruire un nuovo presente sulle macerie del passato, e non vederla scivolare sempre più giù, ossessionata dalla colpa che forse sentiva anche propria per averlo distratto con le sue chiacchiere femminili mentre lui guidava.
Era una caduta continua giù da un baratro, senza un ramo a cui aggrapparsi, e un mese prima, alla fine, s'era aperto sotto di loro il vuoto ed erano precipitati: lei aveva scoperto una mail. Era lo stupido e provocante messaggio di una collega di lui, una collega un po' troppo audace, un pugno di frasi di sboccata passione per un uomo che non aveva la minima intenzione di andare a letto con un'altra, per un uomo che amava sua moglie di un amore profondo e sincero...
Se mai esisteva al mondo un sentimento quasi ideale, un legame matrimoniale quasi perfetto, ecco, era stato il loro... prima dell'urto, prima che la nave iniziasse a imbarcare acqua e colare a picco. Ma dopo lei non aveva sentito ragioni né giustificazioni: un tradimento oltre alla colpa, ed era stato il punto di non ritorno.
I cancelli dell'Eden sono stati chiusi a chiave e lui ne è stato scacciato: fuori, al freddo e al gelo, nelle tempeste, nell'uragano e nel vento, condannato all'infelicità.
Mai più, mai più, mai più...

...

26 Dicembre, h. 16.49: LEI

«lo trovarono in una mangiatoia / dove il bue si nutriva di fieno»

Ha ancora di fronte la terribile scenata accaduta a casa dopo il ritorno dall'ospedale: la ricorda come si ricorda un incubo, nettamente e orribilmente senza poter dimenticare.
Non appena avevano saputo della gravidanza, ebbri di gioia, si erano affrettati in una specie di frenesia giocosa a preparare ogni cosa... e poi c'erano stati l'incidente, il dolore, un'anestetica camera operatoria, e infine il mesto e sconsolato ritorno.
Ode di nuovo il proprio grido di rabbia impotente, rivede se stessa mentre si scagliava sulla culla e sulle tutine, sui ninnoli e sui peluche; era caduta in ginocchio, piangendo, ed era rimasta lì come un angelo di distruzione, tra il lettino rovesciato e i peluche fatti a pezzi, sotto gli occhi attoniti e vuoti dell'uomo che, senza osare fermarla, s'era appoggiato alla soglia della cameretta come un uomo che dovesse sostenersi per non crollare a terra.
Un giaciglio di stracci le sarebbe bastato, per quel piccolo mai nato, perché il suo amore di madre gli avrebbe donato tutto il calore di cui avrebbe avuto bisogno per la vita; ma non erano servite né culla né mangiatoia, né villetta né stalla per la povera creaturina morta anzitempo.
Incurante dello sguardo indiscreto del barista che, con un bicchiere e una spugna in mano, la osserva, la donna respinge la tazzina di caffè ancora piena e poi si preme le dita sulla bocca per soffocare un singhiozzo. Quante volte ha pianto stretta a suo marito e, all'inizio, per quante notti l'ha respinto dal loro letto finché, gradualmente, lui non è più venuto. Silente e mansueto come un'ombra si è adattato ad ogni suo capriccio, ad ogni isterismo, per giorni e settimane... e poi...
Ella si copre il volto per una sorta di pudore, per celare le proprie lacrime: lo vede, ora, lo vede bene come una scena nitida e chiara dopo aver assistito allo stesso film su uno schermo sfocato. Il sacrificio, il paziente annullamento di sé che lui aveva accettato, e tutto per lei, perché lei trovasse il coraggio di riemergere dal pozzo in cui era caduta; e invece lei aveva continuato ad affondare e vi aveva trascinato lui.
Quando erano cominciate le liti? Discussioni che divampavano per ragioni inesistenti, a causa della loro crescente stanchezza, di quello stato d'animo che era come una morte interiore, ora dopo ora: la colpa, la colpa che lei gli aveva rinfacciato, ma che forse non era stata che una fatalità, e forse il disastro sarebbe accaduto comunque, lì o altrove, allora o in un altro momento. Eppure lei non aveva ancora perdonato.
E poi, un mese prima, quella mail scoperta per caso, mentre cercava nella posta di lui tutt'altro messaggio: voleva rintracciare una banale ricevuta per controllare il conto in banca, aveva trovato, giunta quasi in quell'istante, un'ardente lettera di passione firmata da una donna, e indirizzata senz'ombra di dubbio al suo uomo... e allora, dopo averla riletta venti volte, ferocemente e selvaggiamente per imprimersela in mente, per accertarsi di non essere vittima di allucinazione, si era lasciata cadere su una sedia e lì era rimasta per ore, e l'unico sintomo di vita era il respiro corto e affannoso...
E poi, dopo, tutto assumeva i contorni del sogno delirante: i vestiti di lui gettati in un trolley, il suo spazzolino, il rasoio, l'acqua di colonia, gli indumenti più intimi, e poi le urla, le accuse, l'intimazione - mai più! - che si ripeteva, rimbalzava sulle pareti e nella strada nebbiosa e bagnata, e la porta sbattuta, e le orecchie turate per non sentire più niente, per cancellare quell'affronto orribile, orribile... un'altra donna tra le braccia di lui, un'altra bocca femminile su quella bocca maschile che apparteneva a lei sola, e lei non aveva potuto, saputo, voluto sopportare, né sentire spiegazioni, né perdonare.

«Sua madre Maria, inginocchiata accanto al Signore / pregava»

Lui non si era messo in ginocchio fisicamente, ma nello spirito si era forse ridotto a strisciare davanti a lei pur di farsi ascoltare: telefonate, sms, mail, persino una lettera scritta a mano e imbucata di persona nella cassetta vicino al cancello... ma non gli aveva mai risposto, mai. Serratura e numero cambiati, e una settimana prima l'uomo aveva smesso di cercarla: d'altronde l'aveva udita bene quando gli aveva gettato contro quelle parole, e "mai più" significa soltanto una cosa.
La donna solleva gli occhi arrossati e guarda il mondo di fuori: qualche bambino sorridente per mano ai genitori, coppie giovani e anziane, gruppetti di adolescenti... ieri era Natale e lei l'ha trascorso da sola, chiusa in una casa senza decorazioni, senza albero, senza Presepio, senza aver voluto vedere nessuno della sua famiglia perché la sua famiglia era lui e lui non era lì, e lei non voleva nessun altro a intromettersi nel suo dolore. Un Natale senza niente, perché non ha avuto voglia di fare niente... e poi la colpisce un inaspettato pensiero: forse anche lui è stato solo, solo come un cane, da qualche parte della città.
Nonostante tutto, a dispetto dell'adamantina convinzione di aver ragione, rammenta alla perfezione quella lettera scritta a mano, le mail, gli sms, i messaggi lasciati nella segreteria vocale, e tutte le spiegazioni e le giustificazioni si traducono in poche, semplici parole: «Almeno per questo io non ho colpa! Non ti ho tradito, non l'ho mai voluto, non ho mai incoraggiato l'altra né nessun'altra».
Avverte un tuffo nel petto e, per la prima volta dopo mesi, nonostante le dosi quotidiane di medicinali la gettino in una specie di continuo stordimento, le pare di essere lucida e di comprendere: neppure per la perdita del suo, no, del loro bambino lei ha diritto di accusarlo, e tantomeno per questo supposto tradimento coniugale. Lui ha cercato di chiarire il malinteso, lo ha tentato in tutti i modi possibili e immaginabili, e lei invece ha eretto un muro, l'ha giudicato colpevole e condannato e ha rifiutato qualunque idea che potesse opporsi alla sua convinzione.
Ha fatto questo, eppure non c'è stato istante in cui, come una spina conficcata in profondità, la solitudine e l'abbandono l'abbiano lasciata in pace; no, nemmeno per un momento, mentre la coscienza annebbiata dal risentimento, dal puntiglio, dalla depressione, le gridava l'amore di lui, l'innocenza, la fedeltà.
E come ha ella ripagato tutto ciò? Come ha ricompensato l'abnegazione, la devozione, e quello sguardo triste che per mesi l'ha guardata impotente, incapace di trovare una soluzione mentre lei si lasciava andare e, quasi volutamente, continuava ad affondare senza reagire, senza far caso alla mano sempre tesa?
Le sfugge un sospiro dalle labbra, un sospiro che sale dalle fibre più intime e dagli abissi dell'anima. Si solleva con gesti quasi meccanici, estrae delle monete e le lascia accanto al caffè, poi s'infila il cappotto e se ne va, senza salutare, senza guardarsi intorno, mentre alla radio le ultime note della canzone si spengono dolcemente.

...

26 Dicembre, h. 17.04: LORO

Vuole andare nella chiesa dove si sono sposati: come le voglie che assalgono le future mamme, lei è stata assalita da questo desiderio spasmodico e insopprimibile. Cammina in fretta per il centro storico, godendo, per la prima volta dopo mesi, di qualche cosa: il nevischio sul viso e l'aria fredda sulla pelle le sembrano stranamente belli e piacevoli. Ogni suo pensiero è focalizzato sul portale di legno spalancato, sulle antiche pietre del pavimento, sul Presepio che certamente avranno allestito...
Vuole vedere il Bambino, vuole inginocchiarsi anche lei, vuole piangere ancora e forse, stavolta, saranno lacrime di espurgazione, e il suo cuore potrà tornare limpido, e poi... poi... lo cercherà, se lui vorrà essere trovato, e gli parlerà, se lui vorrà ancora ascoltarla... e forse, forse potranno esserci un nuovo presente, un nuovo futuro, e un'altra culla per una nuova vita.
Entra, esitante e quasi timorosa, e come un'eco la accoglie di nuovo quel bellissimo canto, sentito alla radio del bar in una versione celtica e un po' pagana e interpretato in chiesa da voci gregoriane:

«Ora al Signore cantate lodi / voi tutti che vi trovate in questo luogo»

Respira con forza: c'è un vago tepore nell'aria, si avvertono profumo d'incenso e odore di fumo di candele. La musica continua, lenta e solenne, attraverso invisibili altoparlanti, accompagnando i suoi passi incerti.
Da lontano scorge ciò che ha anelato di vedere: il Presepio, meraviglioso nella sua semplicità. Ce n'è anche uno molto più grande che occupa un'intera cappella laterale, con muschio, rami, persino una vaschetta con dei pesci rossi, ma è diverso: questo è adatto per essere ammirato mentre l'altro più semplice, sull'Altare, con soltanto Giuseppe e Maria amorosamente inchinati su Gesù Bambino e attorniati dal bue e dall'asinello, suscita la preghiera e innalza l'anima verso i cieli.
La donna si arresta a metà della navata e si preme una mano sul seno, come a voler trattenere la corsa del cuore: c'è un uomo laggiù, nei primi banchi... un uomo curvo, ripiegato su se stesso...
Non può vederlo in volto eppure sa chi è; lo sa, e sa perché è lì: nei quattro anni passati, sempre, immancabilmente, loro erano abituati a venire insieme in questa chiesa quasi ogni giorno, durante le festività di Natale. Una preghiera per loro e il loro Amore, un ringraziamento per un altro anno trascorso, un rito per ricordare le nozze e rafforzare all'ombra di Dio il tenero legame che li univa.
E quest'anno, invece, ci sono venuti, sì, ma separati, con il petto gonfio di tristezza e il viso sfigurato dalle lacrime; lui piange, piange da straziare il cuore, e sembra che non gli importi di nulla... che qualcuno possa vederlo, sentirlo, inarcare le sopracciglia perché comportamenti di questo genere sarebbero da tenere chiusi nella propria casa, perché in pubblico bisogna portare una maschera...
Ella barcolla e deve appoggiarsi a una colonna, ma non è che un istante; riprende ad avanzare, e la sua mente brucia: se la rifiuterà, se la scaccerà da sé... ma no, non vuole pensare a questo. Forse, invece, potrà ripagarlo, forse stasera sarà lei a raccogliere quelle lacrime, a confortarlo, a lenire il suo dolore...

«e in vero amore reciproco / abbracciatevi ora l'un l'altro»

Egli non si è accorto di lei; la schiena sussulta sotto una disperazione che lo assale con violenza crescente, le orecchie rimbombano del suo stesso pianto e non ode più quelle note, non ode la voce del canto che assomiglia a un coro di angeli.
Sobbalza quando qualcosa gli sfiora la spalla; si solleva di scatto e vuole girarsi, imbarazzato per essere stato colto così da un estraneo, e allora il suo volto congestionato incontra i lineamenti a cui non ha smesso di pensare neppure per un momento, in quel lungo, interminabile mese di separazione...
La donna lo guarda negli occhi e vi legge in un riflesso lo stesso inferno che ha passato lei, nelle notti insonni e nella nausea di quei giorni di solitudine.
Il suo braccio scivola sulle larghe spalle, i capelli ricadono sul viso mal rasato e lacrime di commozione bagnano la fronte dell'uomo.
La mano di lui, un poco tremante, raggiunge la testa fiduciosa che gli si abbandona contro e l'accarezza, poi, con un movimento convulso, si rizza in piedi come a volersi divincolare, ma è solo un momento: prende la donna tra le braccia e la stringe a sé in un abbraccio muto e forte.
Nessuno di loro due ha pronunciato una sola sillaba, ma non è tempo per vane parole: non sarà più "mai più", ora, ma «novella di conforto e gioia / in questo tempo santo del Natale».


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